Fabrizio Roncone è giornalista e inviato per il Corriere della Sera, lo conosciamo per il suo stile asciutto, sapido e rapido che ritroviamo piacevolmente nei suoi libri.
Il suo esordio nel panorama letterario del noir è del 2016 e porta il nome di La paura ti trova in cui incontriamo per la prima volta Marco Paraldi. Scrive poi il giallo politico Peccati immortali con Aldo Cazzullo (2019), seguito poi dal saggio politico Razza poltrona (2021).
Fabrizio Roncone utilizza con ironica drammaticità il noir per raccontare pezzi di società italiana decadente e decaduta.
Roma, scenario anche del suo ultimo Non farmi male, offre spaccati molto rappresentativi di questa realtà, dove il bene e il male si intersecano confondendosi fino al punto in cui aspettarsi la giustizia equivale ad inseguire una chimera.
La ritualità, le caratterizzazioni e gli usi che descrive nel libro sono immagini che arrivano con immediatezza e fluidità al lettore. Lo sguardo ironico permette di non restare schiacciati dalla drammaticità del male senza per questo minimizzarne la portata.
Fabrizio ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
Marco Paraldi è un cinquantenne abitudinario: gin tonic, sigaro, partite storiche della Roma, serate con gli amici. I confini e i tratti della sua personalità, così come degli altri personaggi del romanzo, sono così ben delineati da sembrare reali, e consentono al lettore di vederli.
Qual è stata la tua fonte di ispirazione?
Credo che se vuoi raccontare una storia credibile, sia fondamentale che ad essere credibili siano, intanto, i personaggi.
Li ho perciò immaginati uno ad uno prima di cominciare a scrivere, spesso prendendo ispirazione da donne e uomini esistenti. Il colore dei capelli, i tic, le passioni, le debolezze, le paure. Così, quando poi ho acceso il computer, non dovevo più immaginare niente. Ma solo raccontare uomini e donne come se li avessi incontrati il giorno prima.
Marco Paraldi è proprietario di una vineria ma resta un giornalista nell’animo, uno di quelli che richiamano alla mente la migliore rappresentazione di chi fa questo lavoro, e cioè la ricerca della verità, che richiede di non mollare finché ogni pezzo non è andato al suo posto.
Il suo obiettivo in questa scelta è di richiamare l’attenzione ad un ruolo che non dovrebbe mai piegarsi alla convenienza e al potere?
Sì, assolutamente sì. Marco Paraldi, il protagonista del libro, ha cominciato la professione nello stesso giornale dove cominciai anche io: Paese Sera.
Era una stagione di giornalismo forte. Io e Paraldi siamo cresciuti pensando che il mestiere del cronista sia quello di cercare la verità. Senza cedere ai corteggiamenti del potere, senza farsi condizionare dalle apparenze, dai luoghi. Il cronista è un monaco.
Poi, è chiaro: non è detto che sempre si arrivi alla verità. Molto dipende dalla bravura e, ovviamente, dalla fortuna, una variabile abbastanza decisiva. Ma già raccontare un percorso, descrivere fedelmente ciò che vedi e senti, già questo significa avvicinarsi, in qualche modo, alla verità.
Un elemento che da a Paraldi un’ulteriore caratterizzazione è il suo approccio ai sentimenti. Il suo “non rapporto” con Chicca, una donna aristocratica, elegante e bellissima ai cui corteggiamenti il giornalista risponde con inviti a cena e nulla più, sottende una difficoltà nel mettersi in gioco che sembra rappresentativa di questo periodo.
Perchè questa scelta?
Perché ho conosciuto molti uomini che si comportano come Paraldi. In fondo, mettere in piedi una storia d’amore richiede comunque impegno, tenacia, speranza, una buona dose di rischi. Tutti elementi che questa società induce a considerare seccanti, talvolta superflui, comunque evitabili
Roma è la vera protagonista del suo Non farmi male, e anche per chi Roma non la conosce è facile farsi attraversare dai colori e dagli estremi della città eterna, dalle feste esclusive nei quartieri lussuosi fino alla malinconica solitudine della periferia.
Tu che sei “romano di Roma” cosa ami e cosa non ami della tua città?
Credo che mai come nel periodo attuale Roma non sia solo la capitale di questo Paese, ma rappresenti – plasticamente – il Paese. Roma, ben prima della pandemia, era una città agonizzante, vecchia, polverosa, chiusa su se stessa, insicura, corrotta, colma di immondizia e quindi infetta, una città di bus in fiamme e con le scale mobili della metropolitana che inghiottono i passeggeri, una città di traffico stordente, di triple file, di ingiustizie sociali reiterate, quotidiane.
Attraversare Roma significa attraversare l’Italia. Per questo, penso che le lettrici e i lettori troveranno nel mio libro personaggi e situazioni familiari anche se vivono a Palermo piuttosto che a Milano.
Poi, ecco: c’è da aggiungere che Roma ha una grandiosa fortuna. E’ abitata dai romani. Gente sopravvissuta ai Lanzichenecchi e all’occupazione nazista, e che anche negli anni del boom, i meravigliosi anni Sessanta, ha sempre pensato che la festa probabilmente non sarebbe durata. Il romano, per Dna, non vive. Sopravvive. E’ una filosofia esistenziale che aiuta molto a resistere al peggio, e a non cedere alle suggestioni del meglio
I personaggi del romanzo hanno quasi tutti un soprannome, spesso non proprio raffinato, quasi a voler sostenere la visione decadente che fa da sottofondo all’intera storia. Ci sono Bamba, Murena, Cocomero, Sorcanera e Mozzicone.
Sono solo funzionali alla storia o rappresentano qualcosa di più? Quanto è facile affezionarsi ad un soprannome?
A Roma quasi tutti hanno, anzi abbiamo un soprannome. Non so da cosa dipenda. Ma questo accade in qualsiasi punto della società. Ci sono i soprannomi dei soci del circolo Aniene, e ci sono i soprannomi dei criminali. Anche il direttore di banca, nel giro di qualche mese, si ritrova regolarmente addosso un soprannome
Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sarebbero?
Paraldi risponderebbe: “Ma porca zozza, una domanda più facile, no?
Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Roma, la Roma, e uno spicchio d’aglio. Mai restare senza aglio in cucina
Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto di eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Mia nonna, quando salutava qualcuno, diceva: “… e tante belle cose”. Da bambino ascoltavo, e non capivo. Mi sembrava un modo di dire antico, stantio. Poi è stato tutto chiaro. E’ l’augurio più forte che si possa fare a chiunque. E, quindi, appunto: … tante belle cose a tutti
ThrillerLife ringrazia Fabrizio Ronconea cura di Alessandra Panzini e Alessia