Orso Tosco è un giovane poeta e scrittore, un investigatore delle parole, che lucida e affila fino a farne strumenti potentissimi, capaci di creare immagini che restano negli occhi dei lettori.
Il suo romanzo d’esordio è Aspettando i naufraghi, in cui rivela una voce unica, poetica, intensa e originale che abbiamo ritrovato anche nella imperdibile silloge Figure amate. Una manciata di poesie di grande potenza che illuminano le stanze del dolore e della perdita di una luce intensa, intima e autentica.
Abbiamo avuto il grande piacere di incontrarlo a TESTO, la fiera dell’editoria che si è tenuta a Firenze nell’ultimo weekend di febbraio.
In questa occasione ha presentato con rara efficacia il suo nuovo romanzo, London Voodoo, uscito come il precedente per i tipi della Minimum Fax e la cui recensione potete leggere QUI.
Orso ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
London Voodo è un libro anarchico nella scrittura ma anche nella visione del potere, rappresentato come un tumore inestirpabile. Tra le tante riflessioni inserite nel lucidissimo delirio che accompagna gli eventi, alcune restano particolarmente impresse e accompagnano il lettore anche una volta chiusa l’ultima pagina. Come un sigillo magico o una linea d’odio, London voodoo usa le parole per trasmettere una urgenza, una posizione che non si può più dire nemmeno politica ma forse semplicemente survivalista, disseminandole in un testo più ampio. Quale era la tua urgenza allora, e quale è adesso?
Grazie di cuore per l’invito e per questa lettura di London voodoo che mi rende molto felice. Dunque, l’urgenza che mi ha spinto a scriverlo è la stessa che provo tuttora, ed è per l’appunto incentrata sulle parole. London voodoo è disseminato di parole simili a mine antiuomo, parole che sembrano frammenti di città, quasi frattaglie, ed è di questo materiale che il Porco e Dennis si servono per creare le loro linee d’odio, litanie oscure e sortilegi maligni utili a forzare la realtà, capaci di modificarla e spezzarla.
Però io credo che indagando questo utilizzo scellerato delle parole, si finisca per forza di cose a illuminare al tempo stesso il loro potere che, potrebbe, dovrebbe essere utilizzato per spingere le persone nella direzione opposta.
Diciamo che io, per costituzione mentale e per via dell’immaginario che mi porto dietro, ho lavorato nell’ombra, ma consapevole di come l’ombra più netta si ottenga proprio quando ci si trova vicinissimi alla piena luce.
Nel libro il Porco, Dennis Talbot, l’Oracolo, la stessa Eva B. sono creature per certi versi mostruose, sicuramente devianti, eppure suscitano empatia nel lettore e l’orrore vero è quello che proviamo quando la tua scrittura indaga lo squallore delle vite comuni. La mostruosità, la devianza, il dolore sono il modo più economico, per certi versi democratico, per ottenere una forma di potere?
Credo che la mostruosità di Dennis e del Porco sia stata il loro punto d’incontro, un modo per accettarsi l’un l’altro forti della repulsione altrui. Mentre il canone estetico imperante, fintamente disposto “all’accettazione” ma in realtà spietato, mette in crisi gran parte del mondo benestante, il Porco e Dennis nel loro aspetto apertamente sbagliato e ripugnante trovano una solida base su cui operare.
Londra è l’altra protagonista di questo romanzo. Amata, odiata, madre delle cicatrici come la chiami, è una città, un mondo, mai descritta prima in questo modo. La tua è più una lettera d’amore o un addio?
Credo si tratti di una lettera d’amore scritta al negativo, e spero che l’affetto e la fascinazione che provo e sempre proverò per Londra si possano leggere sollevando le pagine di London voodoo e leggendole controluce. Non a caso, se è vero che le parti di testo sono occupate principalmente dalle linee d’odio della Sezione, è altrettanto vero che nelle linee bianche io spero sia possibile trovare l‘antidoto, e quelle linee sono più numerose.
Sarebbe inevitabile accostare gli eventi che narri, la pandemia, le campagne per somministrare l’antidoto, alla realtà che ci ha impattato negli ultimi due anni ma questo non renderebbe giustizia al libro, che parla di altro. Preferiamo pensare che questa non sia che una coincidenza, come ci piace chiamare la realtà quando, come spesso accade, decide di assecondare la scrittura. È così? E questa coincidenza, a tuo avviso, favorisce o allontana il lettore?
Diciamo che spesso le mie storie sono incentrate su mutazioni collettive, come quella che riguardava i Naufraghi del mio primo romanzo, spesso improvvise e altrettanto sovente inspiegabili e innegabili. La coincidenza a cui giustamente fai riferimento, l’aderenza tra ciò che stavo scrivendo e la realtà esterna, credo e spero possano apparire come un prolungamento di ciò che qualsiasi tentativo letterario, consapevolmente o meno, prova a compiere: affrontare la realtà psichica della realtà in cui crediamo di vivere.
Il mondo che descrivi è sospeso tra l’orrore sociale, il Pulp e l’arte contemporanea. Molte tra le immagini che crei sarebbero altrettanto adatte ad un video di Marylin Manson come a un’opera di Damien Hirst. Esiste un confine oltre il quale l’arte non dovrebbe spingersi o ciò che conta è il risultato in chi la fruisce e, (in alcuni casi) subisce?
Sai, parlando di arte contemporanea va detto che io ho lavorato per dieci anni in quel mondo, ma ricoprendo un ruolo sprovvisto di qualsiasi potere tranne quello di indicare la direzione per raggiungere il bagno o l’uscita più vicina, visto che lavoravo come Visitor Assistant alla Tate Modern. Dico questo perché oltre ad essere un appassionato di arte, ho letteralmente convissuto con certe opere d’arte ben più a lungo di quanto sia toccato in sorte ai loro creatori o ai curatori che quei lavori avevano selezionato.
E dico questo perché una posizione giustamente anomala come quella di chi è chiamato a trascorrere mesi e anni in compagnia di certe opere d’arte, è molto utile per “vedere cosa resta alla fine”.
Molti lavori, siano essi volutamente disturbanti o al contrario meravigliosi e bellissimi, non resistono alla prova della coabitazione forzata, è un po’ come se svanissero, come se dell’ammirazione o dello shock iniziale non restasse più nulla.
Altri lavori, invece, e sono la minoranza, è come se la coabitazione di cui parlavo prima non la rendessero possibile. La loro presenza ci costringe a rinnovare un dialogo. Sono opere che possono spiazzare, oppure provocare un piacere intenso o persino divertirci, farci ridere, ma che in un modo o nell’altro ci trascinano fuori dall’istante in cui ci troviamo, rendendoci più vulnerabili e più recettivi.
Quando l’arte è capace di arrivare a tanto, è giusto che possa concedersi gli strumenti che ritiene necessari.
Se decliniamo l’arte come il risultato psichico che l’artista ottiene sul pubblico, c’è differenza tra arte e magia? E la tua scrittura a quale appartiene?
Sia la magia che l’arte lavorano alla ricerca delle parole, quelle segrete e proibite utili alla magia, e quelle necessarie o inaspettate per l’arte: in molti casi questi gruppi di parole convivono rendendo il confine tra i due mondi piuttosto labile.
Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sarebbero?
Sterpaglia e ossario, per il suono. Fondale marino perché è il luogo che amo di più osservare.
Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
L’ebbrezza, l’autoironia e lo stupore.
Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto di eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Auguro alle lettrici e ai lettori di riuscire a sfuggire alle catalogazioni, specialmente quelle riguardanti il successo, e di trovare un modo piacevole e dignitoso per stare al mondo.
ThrillerLife ringrazia Orso Tosco
a cura di Giovanni e Leonardo