Marco Peano, torinese classe 1979, è un editor per la casa editrice Einaudi. Il suo esordio come autore risale al 2015 quando, per Minimum Fax, pubblica L’invenzione della madre, che riscuote immediato successo di critica e pubblico, ricevendo il premio Volponi opera prima e il premio Libro dell’anno di Farenheit.
Il suo ultimo romanzo Morsi, edito Bompiani è un thriller incredibile, una scrittura sorprendente che accompagna il lettore in una danza mai scontata che si muove, dall’inizio alla fine, tra la musicalità tranquilla di un piccolo paese di montagna e l’improvviso sconvolgimento di ritmo e di armonia, che squarcia e strappa la routine con un orrore agghiacciante..
Motivo armonico del romanzo sono le parole, scritte, trovate, sognate e finalmente capite. Le parole che salvano sempre
Marco ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
Il grande freddo del 1996 e la neve che imbianca il paese, scenario della storia. Tutto inizia con Sonia, una ragazzina costretta da questo eccezionale evento a trascorrere le vacanze di Natale a casa della nonna. L’inverno e il Natale richiamano alla mente due colori, gli stessi che ritroviamo sulla copertina del libro: il bianco e il rosso. Ci racconti il significato e il valore di questi due colori nella storia?
Sono le due anime del romanzo: da un lato la tenerezza, dall’altro la ferocia. Da un lato l’infanzia, dall’altro la crescita.
Fin dall’inizio della storia volevo contrapporre il bene e il male (così come accade nella copertina, appunto, a cui sono molto legato), e insieme provare a raccontare la maniera silenziosa e inevitabile con cui ciascuna di queste forze in apparenza agli antipodi si mescola sempre con il suo contrario.
Morsi è ambientato in un paesino rurale di provincia, Lanzo Torinese, una piccola realtà che appartiene alla tua vita privata. Quanto c’è di Marco in quelle tradizioni contadine, nelle superstizioni e nei detti tipici piemontesi?
C’è moltissimo. Anche io, come Sonia, quando trascorrevo le vacanze dai miei nonni materni mi addormentavo con il dolce suono dell’acqua che cadeva sulle pale del mulino non distante. Anche io andavo alla vicina cascina per prendere il latte appena munto, stringendomi al petto la bottiglia di vetro che mi restitutiva un piccolo tepore quando fuori c’era la neve. Anche io dormivo nel «sacco», e sentivo raccontare le storie delle «masche», le streghe del folklore piemontese…
Sonia è la protagonista indiscussa ma ad accompagnarla c’è Teo. Due ragazzini con personalità opposte ma necessariamente complici in questa storia, bellissimi nel loro passaggio forzato dall’infanzia all’età adulta, che li unisce per salvarli. Cos’è per te la salvezza?
Sapere, o meglio sperare, che da qualche parte nel mondo c’è qualcuno in grado di comprendere la zona più intima e talvolta anche oscura della tua anima. Rendersi conto che i segreti non hanno ragione d’essere se non c’è una persona a cui rivelarli. Sentirsi un po’ meno soli quando tutto quello che ti circonda appare incomprensibile: non è questa l’adolescenza?
Senza approfondire per non togliere ai lettori la scoperta sorprendente di questo viaggio, a Lanzo accade un fatto spaventoso e assolutamente imprevedibile all’interno di una scolaresca. Un “incidente” che porterà i due adolescenti a porsi interrogativi su eventi più grandi di loro, a scoprirsi e a definirsi al di là di quel che gli accade intorno e della strada tracciata dalle loro famiglie, per affrontare il grande mistero della crescita. Quanto secondo te la famiglia incide sullo sviluppo dei futuri adulti? E quanto sono pericolosi i contrasti e il desiderio di affermazione, anche quando non è rassicurante, degli adolescenti?
Verso la fine del romanzo, scrivo che Sonia da un po’ di tempo si stava rendendo conto di non essere soltanto la semplice somma matematica dei suoi genitori. La sua famiglia, in fondo, non ha nulla di speciale: un padre incapace di tenersi stretta una professione, una madre che cerca di tenere insieme i cocci di un matrimonio. E una nonna presso cui «parcheggiare» la nipote, Sonia stessa.
Però sappiamo tutti che il frutto non cade mai troppo lontano dall’albero.
La vera ribellione non sta dunque nel fronteggiare il destino che ci è stato imposto, talvolta risiede nella forza con cui, consci del nostro passato, proviamo a cambiare – con le armi di cui disponiamo – la traiettoria del nostro futuro.
Morsi è l’incanto che termina, è il risveglio in un altra età dove la paura e il coraggio si fondono. Una storia che tocca ogni lettore in modo diverso, tutti ci riconosciamo in quel delicato passaggio dell’adolescenza all’età adulta. Quanto è spaventoso crescere? Quanto lo è stato per te?
Per me moltissimo, già nel mio precedente romanzo (“L’invenzione della madre”) raccontavo di un ragazzo che restava come cristallizzato nella sua adolescenza in seguito a un grave lutto. Qui invece i due protagonisti sono chiamati a crescere più in fretta del previsto, con tutti gli ostacoli che questa forzatura comporta.
È il periodo in cui la voce si modifica, il corpo cambia forma, i confini vengono costantemente ridefiniti… ogni età di passaggio segna un piccolo trauma, ma questa linea d’ombra che chiamiamo adolescenza è la prima di cui abbiamo davvero memoria.
Una piccola curiosità: ti ricordi tu dov’eri in quei giorni a cavallo tra il 96 e il 97?
Avevo i capelli lunghi, ascoltavo musica metal e – poiché i miei genitori erano entrambi vivi – ancora credevo di essere immortale. Ma qualcosa iniziava a vacillare.
Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sarebbero?
Io? No, lascio ad altri questo compito.
Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Ah, proseguiamo sul personale. Se escludiamo le persone con cui amo stare, ti direi i fumetti, il cinema e la tavola. Non so bene in che ordine.
Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto di eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Ricordatevi di tutto
ThrillerLife ringrazia Marco Peano
a cura di Alessandra Panzini e Monica Fornaini