Gian Andrea Cerone, savonese classe 1964, milanese d’adozione, ha una lunga esperienza nell’ambito della comunicazione, dell’editoria tradizionale, televisiva e digitale. Tra i numerosi incarichi svolti, è stato responsabile delle relazioni istituzionali presso il ministero dello Sviluppo Economico e presso EXPO 2015.
Nel 2018, con Rossana De Michele, ha fondato la piattaforma editoriale di podcast di narrazione on demand denominata Storielibere, un progetto di narrazione e intrattenimento che si propone di ridare centralità alla parola.
Un progetto molto ambizioso, le cui aspettative sono state, in brevissimo tempo, ampiamente superate, basti pensare che nel primo anno di vita ha raggiunto un milione di download raddoppiandoli nei successivi tre mesi.
Oggi però spostiamo l’attenzione su quello che, ci auguriamo, raggiungerà un altro importante successo per Gian Andrea Cerone e, dati alla mano, le previsioni si stanno rivelando più che propizie; parliamo di “Le notti senza sonno”, il nuovo noir italiano che conquista le classifiche e incanta i lettori.
“Le notti senza sonno” rappresenta l’esordio di Gian Andrea Cerone nella narrativa, il primo romanzo della serie che vede in azione la squadra investigativa dell’Unità di Analisi del Crimine Violento di Milano.
Una prova d’esordio piuttosto impegnativa per l’autore dove vengono convogliati crimini efferati, delinquenza organizzata e gruppi internazionali di trafficanti.
Un thriller violento al punto giusto, psicologico quanto basta, in una Milano ancora ignara di essere a un passo dall’essere travolta dall’ondata pandemica prodotta dal Coronavirus.
“Le notti senza sonno” lo abbiamo recensito QUI
Gian Andrea Cerone ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
1) Febbraio 2020. Una data già entrata nella storia, una data che resterà impressa nella memoria delle generazioni a venire di noi italiani. Perché hai scelto proprio questo periodo storico per ambientare il tuo primo romanzo?
Da tempo desideravo scrivere un noir che avesse come sfondo lo scenario di Milano. Diciamo che ho ricevuto la spinta definitiva per scrivere “Le Notti Senza Sonno” proprio in quei primi incerti giorni di lockdown. Sono uscito dal sotterraneo di supermarket affollato di gente in coda e mi sono ritrovato a camminare in una città trasfigurata, piena di alberi in fiore e con l’aria stranamente pulita, una Milano bellissima ma triste. E allora ho deciso di collocare l’azione proprio in quei giorni sospesi, dal 21 al 28 febbraio, poco prima che la pandemia diventasse tale. Voglio però precisare che si tratta soltanto di un pretesto narrativo e non di un motivo d’angoscia… non mi interessava l’aspetto apocalittico, di cui tutti siamo più che stufi… nel romanzo la pandemia resta sfumata, sullo sfondo, e quegli otto giorni diventano un tirante temporale che serve per cadenzare l’azione dei protagonisti, per evidenziare il tempo che scorre inesorabile… sia per i cattivi che per gli investigatori.
2) Facciamo un passo indietro. Hai appena pubblicato il tuo primo romanzo ma il tuo nome non suona certo come una novità nel mondo della comunicazione e dell‘editoria italiana. Cosa rappresenta questo passo: la realizzazione di un sogno nel cassetto o, semplicemente, la voglia di spingerti ad assaporare una nuova sfida personale?
Direi che rappresenta soprattutto il compimento del mio percorso culturale e umano. Poi certamente c’è stato anche il sapore di una sfida personale. A questo punto della mia vita professionale mi sono detto che era arrivato il momento di dar vita al romanzo che avevo in mente di scrivere da tempo. Un noir, o piuttosto un polar, come dicono i francesi, che fa più chic.
Mi interessava esplorare quel confine, nero e letterario, certificato da generazioni di illustri giallisti, alcuni dei quali sono stati degli inarrivabili scrittori, primo tra tutti Scerbanenco. I paladini della letteratura in purezza dicono che in giro ci sono troppi noir e troppi commissari. E forse in parte hanno ragione, anche se io credo che sia più corretto distinguere tra libri buoni e libri che non lo sono. A me interessava soprattutto scrivere un romanzo di grande respiro, corale. E l’ambito del noir è quello più arioso e ampio, quello che ingaggia meglio i lettori e concede un grande spazio per approfondire al meglio le storie dei personaggi. Io mi sono dato un’unica regola: divertirmi sempre, in ogni momento della sua stesura.
E così, armato di buona volontà e vincolato a quella promessa, ho cominciato subito.
Sono stati sei mesi di scrittura intensa, capitoli infilati in ogni istante e spazio disponibile, in ogni situazione. Io in compagnia del mio vecchissimo IPad, che alla fine è diventato una delle vittime del romanzo. Sono andato avanti, riga dopo riga, capitolo dopo capitolo. Divertendomi sempre, come da accordi con me stesso.
3) I protagonisti principali del tuo romanzo sono essenzialmente due, Mario Mandelli e Antonio Casalegno. Due personaggi estremamente differenti, il bianco e il nero, la luce e l‘oscurità, l‘uno l‘opposto dell‘altro, eppure hai saputo creare in questi due protagonisti un incastro perfetto, andando a colmare i reciproci vuoti dando vita a quasi un unico investigatore. Posso chiederti se e a chi ti sei ispirato per dar corpo e voce a Mario e Antonio?
“Le Notti Senza Sonno” è un romanzo corale. Il cui motore centrale è l’interazione tra il commissario Mario Mandelli e il suo alter ego, l’ispettore Antonio Casalegno. Il loro incastro, la loro complementarietà non priva di attriti, non è soltanto professionale, ma soprattutto affettiva. Mi interessava sviluppare il tema di un rapporto di coppia che somigliasse molto a quello tra un padre e un figlio, e anche l’aspetto della loro dualità, della doppia soggettiva da cui osservano il mondo. Potrei dire che Mandelli è una sorta di Maigret milanese, ovviamente meno novecentesco del suo famoso collega francese… Mandelli è un uomo che esplora e vive il cambiamento degli anni duemila, la cui cultura è certamente radicata nella Milano di fine secolo ma non è mai sterilmente nostalgica. È un uomo curioso del passato, un amante della storia, però sempre molto attento ai cambiamenti. Casalegno invece è l’impeto, il disordine, la testardaggine, la ribellione. Possiede la bellezza e il fascino del bel tenebroso, una presunta qualità che invece diventa spesso il suo tallone d’Achille, perché in realtà è sempre a caccia del vero amore. Mario e Antonio hanno bisogno l’uno dell’altro, perché insieme formano una sorta di investigatore ideale.
4) Leggo che sei nato a Savona ma vivi ormai da anni a Milano, ed è proprio qui, in questa metropoli del Nord Italia, nel cuore pulsante della moda, del design, della comunicazione, dell‘innovazione del nostro Paese che hai scelto di ambientare il tuo romanzo. Se penso a Milano la definirei proprio così, come il titolo da te scelto, una città dove le notti non hanno sonno, perché Milano è questa, sempre sveglia, sempre attiva, sempre in continuo movimento. Un‘ambientazione e una protagonista allo stesso tempo. Perché hai scelto proprio Milano?
L’ho scelta perché ci vivo e la osservo da anni, e poi perché è una città in continua evoluzione, ricca di valori e contraddizioni. Mi piace pensarla come un città zattera, che galleggia su una rete acquatica sotterranea, che si espande e si spezzetta in tante altre piccole città, in tante enclave con una precisa identità antropologica e criminale. Un po’ come la zattera di pietra di Saramago: in quel caso Spagna e Portogallo si staccano dal continente europeo per andare alla deriva. Nel caso di Milano invece si tratta di un galleggiamento fisso, piantato nel cuore della pianura padana. Il fatto di essere un milanese acquisito mi consente una soggettiva diversa, più libera: appassionata ma non obbligata all’elogio.
Diciamo che Milano è una metropoli sospesa tra la sua natura diurna e quella notturna, una città senza sonno. Contesa tra due popoli diversi che si muovono sullo stesso scenario urbano, ma vivono in fasce orarie completamente differenti e opposte.
5) Il tuo è senza dubbio un romanzo complesso, dove non esiste un solo caso da risolvere ma, al corpo centrale della vicenda, parallelamente si svolge un altro caso importante, indubbiamente meno cruento ma non per questo intriso di un male minore: mi riferisco alla rapina nella casa del gioielliere. Un tragico evento che, la memoria, mi ha portata a pensare potesse essere una sorta di memoriale non per un caso di cronaca specifico, bensì per tutte quelle famiglie che, in Lombardia e nella stessa Milano, hanno tristemente e dolorosamente vissuto. È così oppure volevi semplicemente creare, attorno al corpo centrale, una struttura fortemente credibile dove la vita, tra il bene e il male procede e non vi è tempo per soffermarsi a pensare a un singolo problema da risolvere?
Nella stesura del romanzo mi interessava esplorare la dinamica del Male in tutte le sue forme. Dalla psicopatia del serial killer, maturata in ambito familiare, al male più cinico e crudo: quello legato all’avidità, alla gelosia e all’odio familiare. Però in qualche modo concordo con te, la tragica fine del gioielliere è una metafora di situazioni criminali simili già vissute in passato a Milano e in Lombardia. Penso al caso eclatante di Alberto Torregiani o a quello, ancor più tragico, in cui nel 2013 perse la vita il gioielliere Giovanni Veronesi. Vittime troppo spesso dimenticate.
6) Stone 22. Il più alto grado del male. Forse non tutti conoscono la meticolosità e il rigore nel campo della psicologia forense da parte di Michael Stone ma di certo, dopo aver letto il tuo libro, il lettore può compiere un viaggio nelle profondità della malvagità e nelle sue infinite sfumature sebbene, talvolta, trovare una giusta collocazione non è così scontato. Vuoi raccontarci come hai condotto le tue ricerche?
In realtà ho studiato moltissimo tutti gli aspetti tecnici e investigativi, mi interessava restituire al lettore un contesto realistico del lavoro di indagine, sia quella scientifica sia quella operativa sul campo. Michael Stone e la sua Scala del Male, ad esempio, sono verissimi e molto interessanti. Poi, per tutto il resto, avevo una sorta di consulente speciale… si tratta di un commissario di polizia conosciuto per ragioni professionali e a cui mi lega una profonda stima e amicizia, sempre molto rispettosa. A lui ho chiesto più che altro delle conferme su alcuni snodi e passaggi delicati. Quando mi rispondeva “affermativo”, sapevo di aver fatto bene i compiti.
7) Nell‘introduzione di questa breve intervista, abbiamo ricordato ai nostri lettori il successo del tuo grande progetto di podcast audio, Storielibere. I lettori e gli ascoltatori, avranno il piacere di incontrare nuovamente i protagonisti del tuo romanzo all‘interno di Storielibere?
Storielibere è una sfida editoriale vincente. Un bellissimo percorso nel mondo della narrazione audio condiviso sin dall’inizio con Rossana De Michele, co-fondatrice del progetto insieme a me. In questi
anni abbiamo letteralmente dato voce a molti autori meritevoli e bravissimi. Non so se Le Notti Senza Sonno, nella sua forma di romanzo, possa un giorno diventare anche un podcast… vedremo.
8) Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sceglieresti?
Soltanto tre? Se proprio devo scelgo l’ottimismo, i sogni e la determinazione nel realizzarli.
9) Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Te ne dico quattro… le persone che amo, i libri, la musica e il rugby.
10) Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto di eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Non smettete mai di credere ai libri, soprattutto a quelli più incredibili e belli.
ThrillerLife ringrazia Gian Andrea Cerone.
a cura di Nico e La Lettrice Sovrana