I protagonisti, con Manrico Spinori di Giancarlo De Cataldo
Rubrica a cura di Katia Fortunato
Articolo a cura di Elide Stagnetti
Con la recente pubblicazione di Colpo di ritorno, arrivano a quattro i libri di Giancarlo de Cataldo dedicati al sostituto procuratore della Repubblica, il conte Manrico Spinori, e al team delle sue collaboratrici.
I quattro romanzi seguono un ordine cronologico preciso e si svolgono uno di seguito all’altro, tra novembre 2018 e febbraio 2019.
Ogni mese, e in ogni romanzo, c’è un caso nuovo da risolvere.
Nel primo, Io sono il castigo, Spinori deve trovare l’assassino di Ciuffo d’oro, un ex cantante di gran moda negli anni ’60.
Nel secondo, Un cuore sleale, indaga per scoprire chi ha ucciso il palazzinaro Ademaro Proietti.
Ne Il suo freddo pianto la squadra del “contino” riapre un caso vecchio di dieci anni per fare chiarezza sulla fine di Veronica, una escort transessuale di alto bordo.
Quindi, nel recentissimo Colpo di ritorno, si cerca il colpevole della morte di Narouz, una sorta di ‘mago dei vip’.
Se l’indagine si concentra di volta in volta su un delitto differente, coinvolgendo contesti diversi e ambiti specifici, a dirigere le operazioni c’è una squadra ‘fissa’.
Personaggi che circondano e coadiuvano l’azione del protagonista, il sostituto procuratore Manrico Spinori Della Rocca.
Il primo dato interessante e del tutto peculiare è la sua melomania: Spinori è un patito della musica lirica.
Non a caso, il primo libro della serie si apre con la descrizione di una scena di Tosca (la famosa sequenza del bacio), rappresentata al Teatro Costanzi di Roma.
Tra gli spettatori, “un uomo alto, dai capelli grigi, il volto di una bellezza classica e senza tempo, dai tratti fini”, incantato da un’opera che conosce a menadito, ma che non smette mai di emozionarlo.
Questa prima parte (Prologo) si conclude con la convocazione di Spinori “in ben altro teatro”: deve recarsi, infatti, nel luogo in cui giace il cadavere di Ciuffo d’oro.
La metafora teatro-vita viene interpretata da Manrico in senso strettissimo. Un motivo ricorrente dei quattro testi è quello per cui l’opera lirica lo aiuta a risolvere crimini e omicidi:
Non esiste esperienza umana -delitto incluso- che non sia già stata raccontata da un’opera lirica. Bisogna individuare e mettere al centro della scena il melodramma della realtà.
Io sono il castigo
Spesso Spinori interroga la lirica, ripassando le tante opere che conosce, perché da una di esse arrivi l’illuminazione necessaria alla soluzione del caso: quella che lui chiama “l’opera di riferimento”.
Per risolvere il caso, si trattava di trovare quella giusta
Colpo di ritorno
Tutto il suo staff è al corrente di questo ‘pallino’ di Spinori, che suscita a volte reazioni piuttosto ironiche
E mo’ questo che c’entra, dotto’? Vabbé che non c’è al mondo situazione che l’opera lirica non abbia trattato, eccetera, eccetera […], ma a ‘sto giro me sa che l’opera non c’azzecca niente.
Colpo di ritorno
Incurante delle critiche, il pm dedica spesso le sue serate alla musica lirica: un quadrato di cioccolato fondente, un whisky e “l’ascolto, rigorosamente in vinile, di una delle amate opere, scelta in base all’umore”.
Questo rito lo riconcilia con il resto del mondo:
davanti agli umori neri non c’era che un’unica soluzione: Rossini
Oltre alla musica, Spinori ha un’altra grande passione: le donne.
Prima di tutto, di donne è circondato in ufficio (sono le sue “Walchirie”), anche se con loro intrattiene rapporti esclusivamente e rigorosamente professionali.
Gavina Orru è l’esperta in tecnologia; Sandra Vitale è la coordinatrice dai modi gentili (anche se il suo personaggio subisce un’evoluzione a causa dei problemi coniugali che deve affrontare da un certo punto in poi); quindi Brunella, “l’efficiente segretaria con il difetto del sospiro facile”; e per finire Deborah Cianchetti, la new entry, l’ultima arrivata,
“…un metro e ottanta di tatuaggi e sovranismo, meraviglioso fiore di borgata, guardiana della notte di una città che «si me facevano comanna’ du’ mesi a Roma qua diventava ’a Svizzera».
Il suo freddo pianto
Su Cianchetti vale la pena spendere due parole in più perché, per tanti versi, lei è proprio l’esatto contrario di Spinori; l’accostamento di questi due personaggi, per contrasto, permette di mettere meglio in risalto le caratteristiche sia dell’una che dell’altro.
Sebbene tra loro lentamente si stabilisca un rapporto di stima reciproca, che finisce per cancellare l’iniziale diffidenza, i due personaggi non potrebbero essere più diversi.
Manrico equilibrato, Cianchetti “eccessiva”; lui nobile, lei borgatara; lui democratico, lei sovranista.
Non si trovano d’accordo quasi su niente.
Alla fine però, si rivelano un’accoppiata vincente quando si tratta di risolvere i casi e incastrare l’assassino.
Manrico è un uomo di bell’aspetto, anzi, a detta di molte signore che compaiono nei quattro libri, è un cinquantenne decisamente affascinante.
Cianchetti però lo vede così:
sembra un merluzzo bollito, tutto così compito, con la voce sempre bassa, quei capelli grigi.
A seguire nella carrellata, la bella Elena, la contessa, madre del nostro pm, il personaggio riuscitissimo di un’aristocratica, democratica e un po’ rivoluzionaria come solo i veri snob sanno essere, architetta di grido ai suoi tempi, bellissima tanto da far cadere ai suoi piedi chiunque l’abbia conosciuta.
Dopo la morte precoce del marito, Elena sviluppa la ludopatia che provoca la rovina del patrimonio familiare e continua a giocare in tutti i modi (dal poker al burraco ai gratta e vinci), spesso di nascosto dal figlio, che deve poi correre a pagare i debiti che lascia in giro.
Ciò nonostante, Manrico è la vittima numero uno del fascino di questa donna, l’unica che gli tiene veramente testa e che si può permettere di rimproverarlo.
La vita privata di Spinori è ingarbugliata.
Ingarbugliata perché, come dicevamo, le donne gli piacciono molto, ma non ce n’è una che riesca a convincerlo del tutto ad iniziare una relazione stabile e duratura.
Nell’ordine, si può dire che Manrico è
- da sempre attratto e a periodi amante di Sibilla (che entra in scena nel terzo libro), ex compagna di liceo, sposatissima con un amico comune;
- separato da Adelaide, per quale nutre profonda nostalgia (“la sua intelligentissima e tostissima moglie perduta”) e vari sensi di colpa per averla ripetutamente tradita;
- affascinato dalla nuova pm Valentina Poli (che compare nel secondo volume)
- diviso tra la bella Maria Giulia, conosciuta all’Opera, e la rossa Stella Dubois, assistente del medico legale con cui Manrico lavora da anni.
La contessa Elena ha sempre fatto il tifo per Sibilla (“Ho sempre detto che voi due avreste dovuto sposarvi, Manrico”), mentre considera Maria Giulia “una poco di buono” che ha preso l’abitudine di “condividere il talamo con il suo unico figlio”.
Adelaide gli aveva detto, a suo tempo:
Sei un solitario amabile, una monade ben riuscita.
E la bella Elena:
non esiste donna al mondo che possa sopportarti più di un paio di settimane.
In effetti, anche se terrorizzato dallo spleen, che lo assale puntualmente in diversi momenti della sua giornata (“tu lo sai che la noia è la tua più grande nemica”), Manrico, che comunque è un malinconico di natura, finisce per desiderare l’isolamento:
Optò, ancora una volta, per la solitudine: l’unica compagna che non aveva mai tradito.
Manrico Spinori, lo abbiamo detto più volte, è un aristocratico.
Discendente di una famiglia di conti, vive in un lussuoso palazzo e ha un maggiordomo (Camillo) che, come quando era piccolo, continua a chiamarlo ‘contino’: altro dettaglio che espone il pm alla facile ironia dei suoi nemici (ma anche degli amici), soprattutto considerando che i titoli nobiliari sono stati da tempo aboliti per legge e che gli Spinori sono ormai letteralmente rovinati.
Persino la dimora in cui abitano non è che un’illusione: palazzo van Winckel, infatti, come tutte le proprietà di famiglia, è stato venduto per pagare i debiti di gioco di Elena.
In questo sfarzo gli Spinori possono abitare solo per gentile concessione di uno dei nuovi proprietari, da anni innamorato di lei.
Ma si sa che la nobiltà vera non è quella del sangue, bensì quella dell’animo, che nessuno può abolire né confiscare e, in questo senso, il contino non ha nulla da temere.
Educatissimo nei modi, raffinato nei gusti, misurato nelle parole, Manico è un uomo d’altri tempi, una specie di eroe ‘puro’ che cerca sempre di salvaguardare la legalità e la verità al di là delle trame di potere e degli intrighi di palazzo nei quali, suo malgrado, si trova spesso coinvolto.
Consapevole del fatto che talvolta è necessario accettare dei compromessi, non lascia che un favore si trasformi in favoreggiamento e non permette che la giustizia si tramuti in vendetta.
Per questo ha rinunciato a fare carriera e ha deciso di fare il sostituto procuratore a vita.
In un mondo ideale il sotterfugio e l’astuzia non avrebbero dovuto avere diritto di cittadinanza, nel processo penale. Le parti avrebbero dovuto lealmente collaborare alla ricerca della verità. E la giustizia dividere equamente torti e ragioni, frapponendosi fra l’ansia di vendetta del danneggiato e il desiderio di impunità del colpevole.
Spinori è un garantista, che mette al centro dell’indagine la persona: la vittima innanzi tutto, ma anche l’assassino.
Nella sua visione della giustizia, la pena avrebbe dovuto costituire l’extrema ratio, il carcere la scelta disperata che non ammette alternative. Posizione talmente minoritaria da rasentare l’isolamento sociale, nel suo ambiente.
Queste sue convinzioni non piacciono a tutti, men che meno al suo capo.
Gaspare Melchiorre, alla tentazione di fare carriera non ha saputo resistere e nella correttezza del contino trova un ostacolo spesso difficile da aggirare.
Secondo lui, Spinori è “un vetero democratico ancorato a un’idea romantica della giustizia”.
E non piacciono neanche a Milena Marinelli.
La rampante conduttrice televisiva nella sua trasmissione, Giù la maschera, si diletta nel mettere a nudo la presunta incompetenza degli inquirenti, reputandoli “una massa di idioti”.
Di fronte a milioni di telespettatori…
A protestare spesso per le maniere un po’ troppo morbide del conte è poi l’ispettora Deborah Cianchetti.
Rude e spicciola nei modi, non condivide mai le premure e l’attendismo del contino verso i sospettati.
Secondo lei, sono meritevoli di finire, tutti e subito, in gattabuia.
– Certo che voi nobili…
– Per quanto male lei possa pensare dei nobili, la realtà sarà sempre peggiore. E vale lo stesso per i ricchi. Lo tenga a mente, Cianchetti.
– Dotto’, allora è vero che lei è comunista.