Giorgio Bastonini è nato a Parigi nel 1961, è un commercialista con la passione per la scrittura. Per Ego Edizioni nel 2015 ha pubblicato il primo romanzo, Un piemme non omologato in una storia di provincia, seguito, nel 2017, da Il quadro sulla parete di dolore.
Per Giallo Mondadori sono usciti Uno strano pubblico ministero (2021) e L’incertezza della rana (2023), letto e recensito per Thriller Life da Barbara Terenghi Zoia Qui entrambi incentrati sul personaggio del piemme Paolo Santarelli.
Autore di molti racconti, anche brevi e brevissimi, e vincitore di diversi concorsi, ad esempio, il ‘beer book’ del 2017 e il ‘Costadamalfilibri’ nel 2021.
Giorgio Bastonini ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande.
Thrillerlife: Durante il corso della narrazione troviamo diversi riferimenti a eventi realmente accaduti, casi di cronaca anche pesanti. Il più eclatante è il richiamo alla vicenda di Willy, il ragazzo di Colleferro ucciso con violenza inaudita dai fratelli Bianchi nel settembre del 2021. Pur modificando i nomi di luoghi e persone, ti sei soffermato a lungo sul racconto di quel crimine, di fronte al quale il protagonista, il pm Paolo Santarelli, manifesta una forte indignazione. Tra tanti fatti di cronaca nera, perché hai scelto proprio quello, inserendo dei riferimenti al procedimento in aula addirittura in due punti del libro?
Giorgio Bastonini: Il romanzo era concluso e pronto per la stampa proprio mentre i media riferivano del processo di primo grado contro i fratelli Bianchi. È stato un impulso improvviso e ho inserito di getto la requisitoria che il pm Santarelli avrebbe potuto pronunciare nella modalità che caratterizza il mio personaggio.
TL: Capelli “informi e nervosi”, barba incolta (“da veterinario delle Montagne Rocciose”), felpa verde bottiglia, jeans “non sgualcibili”: l’aspetto del tuo protagonista è sempre molto casual e fuori dagli schemi, rispetto al ruolo di pubblico ministero che ricopre. Del resto, è uno che agisce “di pancia e talvolta senza formalismi”. Cosa vuole trasmettere ai lettori un personaggio così caratterizzato?
G.B: È un sogno immaginare un magistrato del genere o forse una speranza. È la raffigurazione di un pm differente da come di solito siamo abituati a vedere i giudici, strutturati un po’ rigidamente. D’altronde l’amico Giancarlo De Cataldo un giorno mi disse che gli piacciono molto i mei romanzi che hanno una sola pecca: un pm come Paolo Santarelli non potrebbe esistere. Nel senso che verrebbe cacciato dalla magistratura perché troppo anarchico.
TL: Per poter indagare sui crimini raccontati nel libro, Santarelli sceglie deliberatamente di mentire, non rivelando di essere stato testimone diretto di uno degli omicidi collegati al caso. Il fine può giustificare i mezzi? O non ci sono eccezioni in alcun contesto, tanto più in quello della giustizia?
G.B: Ecco, appunto: Santarelli è istintivo e talvolta, si sa, bisogna contare fino a cento prima di prendere una decisione. Santarelli agendo ‘di pancia’ certe volte si dimentica di saper contare. Diciamo che conta quando gli fa comodo…
TL: Uno dei personaggi più caratteristici del libro è Cassandra, “profetessa di sventure”, cartomante dalla vita travagliata, capace di sentimenti profondi, come quelli che prova per Lele e per il protagonista (nonostante sia, a suo dire, “un servo del sistema”). Come si è sviluppato nei tuoi percorsi narrativi questo personaggio così complesso e intrigante?
G.B: E chi lo sa? I miei personaggi arrivano da soli, si creano dal nulla e io do loro vita su carta. O almeno questa è la mia modalità, altri scrittori si comportano in modo diverso. Si dice che Simenon prima di scrivere un romanzo razionalizzasse ogni suo personaggio specificando anche i dati più particolari: cosa amasse mangiare, bere, se fumava, come vestiva.
TL: A proposito di figure femminili, un altro personaggio particolare è Monica, il perito chimico che accompagna Santarelli a Miami. La donna soffre per un rapporto non risolto con una madre dalla personalità dirompente, che ne ha condizionato pesantemente l’esistenza e spontaneamente racconta al sostituto procuratore tutta la sua vita. Perché hai scelto di riservarle questo spazio e di narrare questa ‘storia nella storia’?
G.B: In ogni storia possono nascondersi altre storie. Monica appare come una donna sicura di sé, equilibrata e indipendente che invece dentro di sé nasconde dei demoni. Fra le tante – o poche? – qualità del mio pm preferito c’è anche la capacità di ascoltare gli altri che poi è la stessa degli psicoterapeuti. Non trovate che psicologi e giudici facciano un lavoro simile? Aspettate che ci penso un po’….fatto: no, ho detto una sciocchezza.
TL: Come Monica, anche il protagonista ha vissuto un rapporto conflittuale con il proprio padre, un rapporto basato sul ‘non detto’, a metà tra il rimorso e il rimpianto, in cui la morte del padre impedisce definitivamente quel processo di rielaborazione emotiva che, in genere, i figli adulti dipanano mentre il genitore invecchia. Tornerai sul tema della ‘rabbia’ e della frustrazione di Santarelli in quanto figlio?
G.B: Certo, siamo quello che siamo per colpa o merito del nostro passato. Santarelli è un uomo sensibile che si pone delle domande – un hobby che dovrebbero avere tutti gli esseri umani ma lasciamo stare – anche se non riesce a darsi tutte le risposte. Il tema fra genitori e figli mi interessa molto e ne ho scritto in diverse occasioni.
TL: Di fronte alla dottoressa Avvisati, non sapendo come giudicarne il comportamento con i suoi pazienti, Santarelli pronuncia queste parole: “Credo che l’incertezza della rana sia paradigmatica dell’umana esistenza, e di quella dei magistrati in particolare”. Il pm sembra non condannare la condotta della dottoressa, benché essa non segua i normali protocolli sanitari, e con la metafora della rana le comunica, implicitamente, di assolvere i suoi “crimini”. Forse perché, in fondo, si rispecchia nel suo modus operandi?
G.B: Lo vedi che dai ragione a Giancarlo De Cataldo? Un pm come Santarelli non potrebbe esistere. Certe volte agisce come un giudice e pronuncia sentenze quando il suo compito dovrebbe essere soltanto quello di indagare e rinviare a giudizio gli indagati.
TL: Il tuo romanzo è sicuramente più di un giallo, poiché contiene agganci evidenti all’attualità e molti riferimenti aggiornati al mondo della ricerca scientifica, soprattutto in campo medico. Possiamo dire di essere entrati in una nuova fase del giallo, inteso non più solo come romanzo d’evasione, ma anche come strumento di denuncia?
G.B: Certo, è da tempo che il genere giallo, e il suo cugino più in gamba, il noir, non sono soltanto evasione. Nel mio caso, poi, c’è sempre un riferimento alla cronaca e quando si descrive la realtà si fa sempre denuncia perché quella – la realtà- non è sempre bella.
TL: Perquisendo la casa di uno dei personaggi, gli inquirenti si imbattono nei suoi libri. “Si può capire molto dalle letture di una persona”: cosa troveremmo nella biblioteca di Santarelli? Cosa nella tua?
G.B: Io sono un lettore onnivoro, leggo di tutto, da Recalcati a Da Silva, da Umberto Eco ai fumetti e grafic novel. Santarelli legge poco, nei rari momenti in cui si trova a casa ascolta musica: Eagles, Battisti, Vasco Rossi.
TL: Prima di salutarci quale messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
G.B: La parola ‘Thriller’ deriva dal verbo inglese ‘to thrill’ che significa ‘far rabbrividire, eccitare’. Io, però, desidero soprattutto emozionare i miei lettori per cui, salutando tutti voi, mi auguro di emozionarvi con i miei romanzi.
Thriller Life ringrazia Giorgio Bastonini per la gentilezza.
a cura di Barbara, Edy, Rosaria