Un posto sotto questo cielo
Bologna, 23 giugno 1858. Due guardie pontificie si presentano alla porta di Momolo e Marianna Mortara con un mandato della Santa Inquisizione.
Da quel momento l’esistenza di una famiglia di modesti mercanti ebrei è destinata a essere per sempre sconvolta: le guardie hanno infatti l’ordine di portar via il sesto dei figli, Edgardo, di non ancora sette anni.
I genitori, attoniti, chiedono invano spiegazioni, protestano, si disperano ma alla fine sono costretti a cedere ai gendarmi che trascinano via il figlioletto. È l’inizio brutale di una vicenda via via sempre più cruenta e destinata a punteggiare malamente la storia del nascente Stato italiano e della ormai fatale estinzione di quello pontificio.
A nulla valgono gli appelli al papa di capi di Stato come Napoleone III, l’imperatore d’Austria e il presidente degli Stati Uniti né le voci di protesta di uomini di cultura e le suppliche di quelli di ogni fede. Pio IX è irriducibile: Edgardo Mortara, pur nato ebreo, appartiene alla Chiesa cattolica visto che una fantesca ha giurato di averlo battezzato di nascosto quand’era nella culla ritenendolo moribondo per via di un attacco di febbre.
Vittima di un’epoca tempestosa, Edgardo vivrà tutta la vita all’interno dell’istituzione ecclesiastica, prima ragazzo confuso e solitario, poi sacerdote inquieto e disperato. Fino alla sua morte in un convento nei pressi di Liegi tre mesi prima che i nazisti invadano il Belgio, sarà pedina innocente sulla scacchiera di un potere spietato.
RECENSIONE
< Rivoglio la mia, di mamma >, riuscì a dire.
Un posto sotto questo cielo è la storia romanzata della vera vicenda che sconvolse la vita di Edgardo Mortara.
L’autore, Daniele Scalise, dopo aver scritto molti anni prima un saggio sulla vicenda, ll caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal papa. Milano, Mondadori 1996, ha scelto di approfondire la storia in quello che è il suo primo romanzo.
Storia raccontata anche da Marco Bellocchio nel suo film, il rapito, presentato al Festival di Cannes 2023.
Il romanzo narra la vicenda fin dagli albori, da quando una mattina, correva l’anno 1858, la famiglia Mortara si sentì bussare alla porta e dei gendarmi prima con una scusa entrarono in casa e poi presero il loro bambino Edgardo, di soli sei anni, e lo portarono via, per sempre.
Momolo e Annamaria, di fede ebraica, avevano perso il diritto di crescere il loro figlio, perché la Chiesa, venuta a conoscenza del fatto che il bambino anni prima fu battezzato con rito cattolico da una domestica, asserisce che un cattolico non può essere cresciuto come ebreo.
Ovviamente la vicenda è un atto politico, portato avanti da Papa Pio IX , un atto di forza che risuonò in molti paesi europei, per cercare di riaffermare la sua potenza, minata dal risorgimento.
Scalise fa una scelta stilistica molto precisa, segue in tutto e per tutto quello che fu il romanzo ottocentesco.
Ne ripercorre lo stile, i tempi, e il linguaggio, calando il lettore nel periodo storico narrato, nelle atmosfere che si respiravano, nel clima di tensione che si viveva, questo comunque senza mai appesantire la lettura, che rimane fluida e scorrevole.
Un posto sotto questo cielo si può ritenere strutturato in due momenti ben distinti.
La prima parte, racconta la fase iniziale della storia di Edgardo.
Qui l’autore sceglie di non raccontarci cosa vive il bambino, che appare e scompare alla vista del lettore, ma si sofferma sulle importanti figure storiche che girano intorno alla vicenda.
Sulla chiesa, su Pio IX, e su Moses Montefiore, ebreo, filantropo italiano naturalizzato britannico, che si batté tutta la vita contro le ingiustizie ebraiche, e che cercò di far restituire alla sua famiglia il bambino.
Scalise racconta della determinazione di Momolo Mortara, padre di Edgardo, mercante ebreo di passamanerie, che spese tutta la sua vita, cercando di riportare a casa suo figlio.
Impossibile non notare la caratterizzazione del personaggio, un padre che non si dà pace, che non si arrende e che lotterà per tutta la sua vita.
Su Annamaria, mamma anche di altri bambini ma che non si diede mai pace perché ne mancò sempre uno, Scalise non si sofferma molto, ma nonostante ciò viene fuori il modo in cui ha affrontato la vicenda, e l’amore che ha sempre avuto per Edgardo.
Nina Morisi, lei è la causa di tutto, una ragazza scellerata, ingrata, e sicuramente troppo piena di sé per capire il dolore che stava causando.
Nina rappresenta forse più di altri la fine dell’800, la disarmante ignoranza che porta una ragazza semplice, senza un soldo a non curarsi di nulla se non di se stessa, pronta a sacrificare gli altri per sposarsi..
E infine Francesco che forse tra tutti è stato il personaggio più empatico, un giovane sacerdote, con una coscienza che non ha il coraggio di urlare forte il suo pensiero.
<dove mi porti?> chiese Edgardo mentre si ultimavano i preparativi.
< dove sarai protetto e istruito come meriti>, mormorò Francesco non senza arrossire di vergogna e di sdegno.
… <starai con me?> insistette il bambino.Francesco esitò. <No, questo non sarà possibile.> Poi gli fece una promessa che sapeva non avrebbe mantenuto: < sappi però che non ti lascerò mai solo >
La seconda parte del romanzo, permette di conoscere meglio Edgardo, facendoci capire come è cresciuto, come ha vissuto, quale strada ha preso la sua vita, e quale profondissimo dolore la Santa Romana Chiesa gli ha procurato, dolore che non è riuscito a lenire e superare mai.
Divenne un uomo devastato dal dolore, che mantenne sempre un profondo conflitto tra fede cattolica e fede ebraica, nonostante la sua vita avesse preso una strada ben definita.
Edgardo viene quindi fuori, e l’autore riesce a costruire un personaggio veritiero, plausibile, assolutamente credibile, un uomo che è cresciuto con molti conflitti interni irrisolti, che oggi sappiamo avrebbe avuto bisogno di un grande aiuto psicologico, ma che all’epoca, verosimilmente venne lasciato solo ad affrontare i suoi demoni.
non c’è mai stato un posto tutto mio
La narrazione scorre fino agli ultimi atti della lunga esistenza di quest’uomo, quando l’antisemitismo busserà nuovamente alla sua porta.
Scalise ci racconta di come la religione venne usata come scusa per la realizzazione personale, scavalcando e calpestando la vita e i sentimenti degli altri, portandoci nelle ultime righe del libro a ribadire il concetto che la storia si ripete e si ripete e si ripete ancora.
Editore: Longanesi
Pagine: 252
Anno pubblicazione: 2023
AUTORE
Daniele Scalise nato professionalmente come ricercatore sociale, ha lavorato in Rai come programmista regista, ed è stato corrispondente di guerra per l’agenzia Quotidiani Associati.
Dedicatosi alla scrittura, si è prevalentemente occupato di discriminazioni di tipo razziale (antisemitismo) e sessuale (omofobia). Egli stesso scopertosi omosessuale in età adulta dovette affrontare la questione in famiglia, essendo già sposato. Al suo rapporto con la figlia, e all’esperienza di genitore gay, è ispirata Lettera di un padre omosessuale alla figlia.
Nel 2000 ha curato una rubrica gay, «Cose dell’altro mondo», su Panorama; l’esperienza è proseguita dal febbraio 2001 all’agosto 2002 su L’Espresso con «GayWatch», poi abolita dalla nuova direttrice della testata, Daniela Hamaui; la rubrica è stata in seguito ospitata da il Foglio di Giuliano Ferrara con il titolo «Froci».
Rubriche a parte, è stato collaboratore della rivista Prima Comunicazione dal 1996 al 2019.