Questa intervista a Livia Sambrotta è per noi doppiamente speciale.
Lo è da una parte perchè ci accompagna nell’inaugurazione del sito
E lo è ancora di più perchè oggi è il suo compleanno e noi della redazione vogliamo farle i nostri migliori auguri per un felice, sfavillante, bellissimo giorno.
Nata a Roma e laureata in Lingue e Letterature Straniere con indirizzo spettacolo, è appassionata di cinema fin da bambina.
La sua carriera la vede redattrice per i magazine di promozione cinematografica 35 mm e Primissima, poi film promotion per il gruppo UCI Cinemas e dal 2015 conduce seminari di scrittura creativa, anno in cui pubblica il suo primo romanzo “Amazing Grace” seguito dal noir “Tango Down”.
Non salvarmi, pubblicato da SEM, è un thriller di taglio hollywoodiano e dal ritmo sostenuto, che ha vinto il Premio Selezione Bancarella 2021 e che sembra già pronto per una trasposizione cinematografica.
Un aeroporto, simbolo di sicurezza nell’immaginario collettivo, e una ragazza in fuga che scompare misteriosamente. Due immagini in contrasto che catturano immediatamente il lettore.
Contattata dalla nostra redazione, Livia ha gentilmente accettato di rispondere alle nostre domande.
Non salvarmi è sicuramente un romanzo corale, ricco di personaggi, ognuno con una sua personalità, una storia e delle motivazioni proprie.
Nel crearli ti sei ispirata a qualcuno in particolare o sono tutti frutto della tua fantasia?
Nel mio romanzo ci sono molti protagonisti. Questa scelta l’ho portata avanti perché volevo raccontare tutto lo spettro delle emozioni, da quelle più incendiarie, come la rabbia, a quelle più intimiste come la tenerezza e la compassione.
Per sviluppare alcune psicologie, come ad esempio quella di Greg, uno dei finanzieri più potenti di Hollywood, mi sono ispirata a protagonisti reali dello showbusiness con cui sono entrata in contatto in questi anni grazie al mio lavoro nell’industria cinematografica. Greg è un personaggio carismatico, dotato di un’enorme capacità e sicurezza per le sue strategie che lo portano sempre a vincere nella scacchiera dei potenti.
Nella mia carriera ho incontrato alcune persone dotate del talento di avere una visione, che significa non solo sapere interpretare il mondo che ti circonda ma riuscire anche a prevederne la trasformazione. Nel romanzo Greg sta portando il cinema in Arabia Saudita, una mossa che delinea il futuro di Hollywood nei nuovi mercati in crescita. Questo processo molto stimolante l’ho potuto seguire realmente da vicino, in quanto è stata proprio la company in cui lavoro a riaprire le prime sale cinematografiche a Riyad nel 2018 dopo trent’anni di chiusura.
I miei protagonisti hanno anche una dimensione emotiva sfaccettata. Per delinearli correttamente ho fatto diversi studi di psicologia e osservato molto il mondo intorno a me. Amo inventare ma con un’aderenza alla realtà che prima di tutto sia stata vagliata dai miei occhi.
Ispirazione a parte, gestire così bene i personaggi non è facile, tantomeno costruire un plot così ricco. Come ci riesci?
Lavoro moltissimo nella fase preliminare. Sono molto rigorosa e definisco questo lavoro come se avessi un committente a cui devo far comprendere la totalità del mio progetto. Preparo un soggetto molto lungo che riepiloga la trama e gli snodi più importanti. Poi lavoro alla scaletta per la struttura con i relativi twist e colpi di scena. Inoltre dettaglio le schede dei miei personaggi da un punto di vista biografico e psicologico. Solo quando ho tutti questi elementi sotto controllo ritengo di essere pronta per iniziare a scrivere.
In “Non salvarmi” avevo dieci protagonisti le cui storie dovevano intrecciarsi portando avanti il thriller. Questi personaggi non dovevano mai essere però solo funzionali alla storia. Dovevano avere una loro tridimensionalità. Desidero infatti che il lettore si affezioni anche ai personaggi più respingenti o secondari. Per ottenere quest’empatia bisogna indagare a fondo le motivazioni che conducono a determinati gesti e questo si può fare solo scavando nella psicologia e nel passato.
C’è una teoria affascinante nei manuali di scrittura ed è quella dell’illuminazione: ogni personaggio getta luce sul protagonista. In “Non salvarmi” la tensione non solo ruota intorno all’omicidio, ma soprattutto è una suspense emotiva dovuta all’interazione delle diverse vicende umane.
Cosa hanno in comune il mondo del cinema e il mondo della letteratura e in cosa, invece, sono diversi? Il cinema ti ha aiutato a scrivere meglio?
Sempre di più mi sembra che il cinema guardi alla letteratura, tanto che molti romanzi vengono trasposti sul grande schermo. Questo perché un buon libro avrà sempre una struttura narrativa molto forte che può rendere solido un eventuale film. Certamente sono due linguaggi molto diversi che quando si incontrano si rivoluzionano a vicenda.
Un romanzo oltre alle descrizioni del contesto deve indagare l’elemento introspettivo con particolare rilievo alla componente emotiva. Il cinema deve raccontare per immagini e non può permettersi di esplicitare ad esempio il pensiero di un personaggio. Quindi la sua forza sarà il dialogo e l’azione.
Inoltre il romanzo ha la libertà di muoversi nel tempo e nello spazio senza limiti, se non quello di rimanere coerente alla sua storia. Il cinema per motivi di budget e produzione deve invece condensare la narrazione in poche ore. Questi elementi determinano approcci completamente diversi. Lavorando nell’industria audiovisiva, posso dire che il cinema ha plasmato il mio sguardo sul mondo e quindi, inevitabilmente, sulle mie storie. Dovendo dialogare con le masse, i film sono sempre focalizzati sull’attualità, un’esigenza che condivido totalmente come autrice.
Inoltre il ritmo, la possibilità di passare velocemente da un contesto all’altro e di usare diversi punti di vista sul mondo simultaneamente sono punti di forza dei film che sempre rifletto nelle mie storie.
Non salvarmi è uno dei pochi romanzi italiani ad avere un respiro internazionale e seguendo la storia si passa dagli Stati Uniti a Milano.
Sono tuoi luoghi dell’anima o semplici location, unicamente funzionali alla storia?
I luoghi dei miei romanzi non sono mai semplici location, bensì protagonisti a tutti gli effetti tanto che influenzano il destino dei miei personaggi.
Per Non salvarmi ho scelto il deserto dell’Arizona poiché la storia prende spunto da fatti realmente accaduti nei pressi di Wickenburg intorno agli anni 2010, quando un ex produttore cinematografico all’apice della sua carriera decise di avviare qui un centro di rehab per ragazzi che soffrivano di dipendenze ed erano figli di star del cinema. Quindi inevitabilmente sono arrivata in Arizona.
Volevo però che la mia storia fosse un racconto personale e non un romanzo all’interno della grande tradizione letteraria americana. Per questo ho indagato la dimensione del deserto, un tempio del silenzio, un non luogo che ha un valore universale nel nostro immaginario. Anche Milano, che in questi anni è diventata la nuova mecca del cinema italiano, allettando anche molte produzioni straniere, è raccontata nel romanzo come un vero e proprio set cinematografico che esalta la sua rivoluzione architettonica verticale.
Non salvarmi, dovessi essere tu a scegliere, sarebbe un film o una serie?
Se potessi scegliere sarebbe sicuramente un film, soprattutto per l’impatto visivo molto forte e suggestivo del deserto che solo una produzione per il grande schermo potrebbe esaltare.
Le vite dei singoli protagonisti con tutte le loro digressioni si prestano allo stesso tempo molto bene alla serialità televisiva, però sicuramente il cinema sarebbe in grado di rendere al meglio tutta la carica di tensione che anima “Non salvarmi”.
Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sarebbero?
Corro il rischio di non essere originale, ma queste le parole che sento più vicine a me: entusiasmo, fiducia e dedizione. Ovviamente ci sono anche i limiti personali, ma meglio non parlarne qui!
Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Sicuramente Yoga, camminare e leggere. Queste tre pratiche alla fine convergono tutte in un’unica direzione: la sacralità del corpo unita a quella della mente. Spesso crediamo che le nostre idee siano completamente separate dal nostro corpo, ma non è assolutamente così. Anzi, il nostro organismo è lo specchio del nostro stato interiore. Per questo le due dimensioni devono essere fortemente connesse e alimentarsi a vicenda.
Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto d’eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Grazie per questa bella domanda, il mio augurio migliore è di essere sempre impavidi rimanendo se stessi. Nell’era dell’omologazione digitale molti cercano a tutti i costi il consenso cercando di cavalcare trend favorevoli o addirittura adattando il proprio stile e la propria personalità al linguaggio dei social.
Per come la vedo io l’unica arma che abbiamo a nostra disposizione per essere amati dai lettori è fare del nostro meglio per regalare loro un buon libro. Tutto il resto è un corollario che deve sempre rimanere in secondo piano e mai snaturare la nostra vera identità. Rimanere autentici è forse la sfida più grande che abbiamo davanti a noi.
ThrillerLife ringrazia Livia Sambrotta
a cura di Alessandra Panzini e Leonardo di Lascia