Cella numero 23
Samuele Pallavisini, rampante commercialista e donnaiolo, viene trovato morto nel giardino di casa. Sul corpo, un verso di Baudelaire scritto col suo stesso sangue. La caccia all’uomo dura poco perché a finire in carcere è il fratello minore, l’insicuro e tormentato Donato.
Nonostante sia l’unico sospettato e tutte le prove lo inchiodino, lui continua a proclamarsi innocente. Nel carcere di Volterra, Donato divide la cella con Jack, uno scozzese carismatico e saggio, a sua volta dietro le sbarre per aver ucciso una studentessa e averne seviziata un’altra.
Professore di francese, laureato anche in psicologia clinica, Jack, per sette lunghi mesi, ascolta ogni giorno la confessione di Donato e, insieme, cercano di restringere la rosa dei possibili sospettati allo scopo di trovare le prove che possano scagionare l’uomo.
Chi ha ucciso Samuele? E perché? I racconti di Donato svelano una torbida ragnatela di segreti: ognuno dei suoi familiari potrebbe aver avuto un movente per commettere l’omicidio.
Un thriller inquietante che, come in un Carnevale di specchi deformanti, si muove tra mille facce e mille angosce, lasciando scivolare ogni certezza nel baratro più oscuro della mente umana.
RECENSIONE
Un giorno più nero di ogni notte
La storia si apre immediatamente con la descrizione nuda e cruda dell’omicidio: Samuele Pallavicini viene ritrovato sgozzato nel giardino di casa sua, con un verso di Baudelaire inciso lungo tutto il corpo.
Sin da subito, il solo ed unico sospettato è il fratello Donato, che si trova in casa, sotto shock e ferito ad una mano.
Da subito l’autrice descrive l’instabilità e la confusione che caratterizzano la personalità di Donato; i suoi ricordi si mescolano ad allucinazioni e a fatti accaduti, o che lui ritiene lo siano.
Donato si professa sempre innocente e la sua pesante sofferenza in carcere deriva principalmente dall’incapacità ed impossibilità di poterlo dimostrare.
Lo sfondo, che rimarrà tale per tutto il libro, è quello della Toscana negli anni compresi tra i ‘70 e i ‘90.
Non vi sono importanti descrizioni dei luoghi in cui avvengono i fatti, vengono nominate solo le città; il focus è senza dubbio sui personaggi.
Grazie ad un susseguirsi di flashback, ricordi e visioni, entrano pian piano in gioco i membri della famiglia Pallavicini: ne vengono delineate le principali caratteristiche unite a segreti, bugie e rancori.
Buona parte della storia della famiglia viene narrata utilizzando come tramite i racconti di Donato a Jack, il compagno di cella, la numero 23 del carcere di Volterra, appunto. J
ack si trova in prigione per un crimine altrettanto efferato e anche lui ricorda, nei suoi discorsi con Donato, la sua infanzia e cosa lo ha portato a compierlo, fino alla minuziosa e malata descrizione del suo crimine.
La psicologia di tutti i personaggi è molto curata.
Vengono descritti con attenzione gli atteggiamenti, i pensieri, i sentimenti, arrivando a trattare argomenti di un certo rilievo come la malattia mentale, la manipolazione, i traumi infantili, la psiche umana nel suo complesso.
Ciononostante, per la maggior parte, i personaggi non risultano caricaturali, ma ben inseriti nella storia e correttamente legati tra loro, seppur spesso in relazioni patologiche.
Donato e Samuele, ad esempio, sono descritti agli antipodi.
Donato un timido, a volte sciatto, timoroso, senza dubbio con problemi di gestione delle proprie emozioni; Samuele un creativo, affascinante, socialmente ben inserito, sciupafemmine, ma allo stesso tempo manipolatore.
Quello che più intriga di Cella numero 23 è l’evoluzione del loro rapporto prima dell’omicidio, la descrizione di come le loro vite siano state entrambe segnate nell’infanzia, seppur in modi differenti e di come si siano successivamente evolute seguendo strade e facendo scelte diverse.
Sono proprio i racconti di queste scelte a condurre il lettore verso il dipanarsi della nebbia del racconto.
Lentamente si aggiungono ricordi, che a volte hanno parvenza di allucinazioni, i quali condurranno la storia alla deriva rispetto all’unico, vero, agghiacciante segreto finale.
Le pagine conclusive sono un crescendo di tensione, che porterà più volte chi legge a pensare di sapere come tutto finirà, ma la rivelazione sarà sconcertante e lascerà di certo qualcuno con l’amaro in bocca.
Nel complesso il libro intrattiene il lettore, i protagonisti incuriosiscono, le storie si intrecciano in maniera piacevole, nonostante la presenza del lato umano più oscuro non abbandoni neanche una riga del libro.
Editore: Sette Chiavi
Pagine: 230
Anno pubblicazione: 2023
AUTORE
Manuela Maccanti vive a Fucecchio, in provincia di Firenze.
Nata nel 1977, è laureata in Lingue e letterature straniere e ha un passato da giornalista per “Il Tirreno”.
Dopo aver frequentato laboratori di scrittura creativa, nel 2021 si è iscritta alla scuola Saper Scrivere ed è diventata correttrice di bozze e editor.
Finalista in vari concorsi nazionali e pubblicata su antologie di racconti e poesie, nel 2021 ha esordito con il romanzo Lo stoppino e la candela (Capponi editore).
Cella Numero 23 è il suo primo thriller.