Intervista a Marco De Franchi
Spazio a cura di: Claudia Pieri e Samuela Moro
Intervista di: Elide Stagnetti
Lo scrittore Marco De Franchi è il graditissimo ospite di oggi nel nostro spazio dedicato alle interviste.
Nato a Roma nel 1962, De Franchi da bambino cullava due sogni: diventare investigatore e diventare uno scrittore. Li ha realizzati entrambi, ha infatti un passato da Commissario Capo di Polizia, periodo durante il quale ha lavorato presso il Servizio Centrale Operativo (SCO), l’ufficio investigativo italiano che più si avvicina all’FBI. Forte di questa esperienza professionale, fondamentale per la scrittura dei suoi romanzi, nel 2022 pubblica con Longanesi il suo romanzo d’esordio, La condanna dei viventi un thriller che ha varcato i confini nazionali per raggiungere i principali paesi europei.
Due anni dopo, sempre per Longanesi, esce il thriller Il maestro dei sogni, recensito qui.
Marco De Franchi ha accettato di rispondere alle nostre domande:
Thriller Life: Mi hanno molto colpita le ambientazioni in cui si svolgono i fatti narrati. In base a quali criteri le hai scelte? Come hai “assegnato” i contesti ai diversi e rispettivi episodi?
Marco De Franchi: Bella domanda. Le location, come dicono le persone colte, hanno una grande importanza nelle mie storie.
Quando scrivo una scena, un capitolo cerco di avere una visione “cinematografica” quindi immagino veri e propri spostamenti di camera, inquadrature, piani sequenza.
E per rendere la visione più accattivante vado a pescare l’ambientazione più adatta, più peculiare o solamente suggestiva, che può essere un luogo che conosco e che ho visitato, o qualcos’altro di nuovo che ha colpito la mia fantasia e su cui devo documentarmi. Mi immergo in quel posto e poi lo descrivo e lascio che “abbracci” i miei personaggi.
TL: Parliamo di Valentina Medici e Fabio Costa: personaggi diversi, in un certo senso complementari e soprattutto psicologicamente (e narratologicamente) molto complessi. Rispetto al primo libro, li troviamo cambiati, più cupi e rabbiosi. In che modo si stanno evolvendo e trasformando i due protagonisti?
Marco De Franchi: Be’, come in ogni romanzo che si rispetti la trasformazione psicologica o fisica degli “eroi” è fondamentale. I miei personaggi, peraltro, vedono e fanno cose che necessariamente li cambiano.
Come ho detto più volte, quando fai un salto all’inferno e ritorni non è che puoi aspettarti di restare integro.
Fabio e Valentina, inoltre, hanno instaurato un rapporto difficile, una cosa a metà tra l’odio e l’amore. Un rapporto che mi ha stimolato e che spero di rendere più interessante possibile. Detto questo, sto curando che il viaggio che loro due stanno facendo insieme non si esaurisca in un solo romanzo. Accadranno tante altre cose e Valentina e Fabio e anche gli altri co-protagonisti porteranno a compimento definitivo la loro trasformazione soltanto nell’ultimo capitolo, ognuno a modo suo, ognuno di loro in maniera molto diversa.
TL: Con grande precisione hai delineato alcuni personaggi secondari: penso, ad esempio, a Gaja Giannini, l’ispettrice romana dalla personalità particolarmente verace, o a Buratti, il “bravo sbirro” che non può arrivare a capire l’enormità dei delitti con i quali è venuto in contatto. Quali sono gli elementi necessari per creare personaggi -anche minori-che siano credibili e ‘memorabili’ agli occhi del lettore?
MDF: Basta metterci la stessa cura e lo stesso amore che dedichi ai personaggi principali. Ogni attore che calca la scena della mia storia, anche solo per una “comparsata” deve essere delineato, credibile.
Dietro ognuno di loro c’è un background che costruisco a volte per settimane e a cui presto molta attenzione, che a volte non descrivo neanche ma che mi serve per sentire quel personaggio più reale possibile.
Ci metto insomma molta passione e spero che si veda. A volte mi capita di ricevere commenti da lettori che hanno amato personaggi secondari e questo mi gratifica tanto. E inoltre mi spinge anche ad approfondire certi aspetti che neanche io avevo notato. È il caso di Gabriele Piovesan, che in questo secondo romanzo assume un ruolo determinante, che ho ripescato proprio grazie alla segnalazione di molti lettori che lo avevano amato.
TL: Possiamo dire che uno dei protagonisti principali dei tuoi thriller sia il Male in senso assoluto, che si incarna e agisce concretamente in alcuni personaggi, come i membri della Geenna o i vari serial killer dei quali racconti le “imprese”. Perché il Male affascina tanto i lettori e gli scrittori? Come spieghi il successo del genere thriller?
Marco De Franchi: Questa è la domanda da un milione di euro. Penso ci siano tante componenti dentro questa affezione. Sicuramente è catartico vedere scritto tutto quel dolore e sapere che non riguarda te ma personaggi fittizi.
C’è un po’ di oscurità in ognuno di noi e per tenerla a bada abbiamo a volte bisogno di confrontarci con essa. Le ombre ci fanno paura e la paura genera le soluzioni di cui abbiamo bisogno.
E così via. E poi si dice che i personaggi più cattivi sono i più affascinanti. Il thriller, il noir sono generi che racchiudono in sé le domande che ci facciamo sempre: esiste il male? E che aspetto ha? È davvero vicino a noi? Si nasconde dietro qualcosa che conosciamo? Non sempre ci sono le risposte. Ma noi, lettori e scrittori, viviamo di quelle domande. Ci tengono vivi.
TL: Il grande tema del tuo libro è la malattia mentale. Loris Manna (le cui indagini nel web sono essenziali alla risoluzione dei casi in entrambi i romanzi), riflettendo sulle vicende del suo giovane amico Gabriele Piovesan, parla del proprio disagio nei confronti della “follia” e della vergogna che gliene deriva. A quanto scrivi nella finale Nota dell’autore, questi sentimenti appartengono anche a te. Ma, dici, scrivere di questo tema è servito a esorcizzare quel disagio. Che potere ha per te e su di te, in generale, la scrittura?
Marco De Franchi: Come spiego in una breve e sintetica postfazione, una delle molle che mi ha spinto a utilizzare la malattia psichiatrica è stata la volontà di “chiedere scusa” per il mio atteggiamento nei confronti del disagio mentale (e che si riflette nei pensieri di Loris Manna). Sicuramente scrivere è catartico (e anche leggere, naturalmente).
Faccio mia una delle massime di Stephen King (ma anche di tutti gli scrittori del mondo) che cito un po’ a memoria: la capacità di una buona scrittura è il coraggio di guardare le proprie ferite e descriverle senza filtri, ipocrisie o pudori. La scrittura è scandalo, sennò resta solo un esercizio di stile.
Immergermi nell’inferno delle sindromi psichiatriche mi è servito molto a fare i conti con le mie paure e con una parte di me che non mi è mai piaciuta. Spero solo di aver usato la corretta delicatezza nei confronti di chi soffre davvero di queste terribili malattie e dei loro cari. Rammentando che il mio è solo un romanzo e non vuole assolutamente essere esauriente da questo punto di vista.
TL: Loris è un genio dell’informatica, ma, assorbito dalle ricerche nella rete, rischia di perdere il contatto con ‘l’umano’. Glielo fa notare un paio di volte l’ispettore Gaja Giannini: “Eh, ma io te l’ho detto che non puoi risolvere tutto smanettando con il tuo computer”. Quanto è importante il lato tecnologico di un’indagine nella costruzione di un thriller ambientato nella contemporaneità?
MDF: È fondamentale. E rende anche tutto molto difficile. Ho amici scrittori che preferiscono ambientare le loro storie nei decenni passati per consentire ai loro investigatori (e anche ai loro criminali) di agire con meno limiti e su un piano più “umanizzato”.
Però se ambienti un giallo ai nostri giorni ci devi fare i conti con la tecnologia e il suo sviluppo progressivo. Ed è più complicato immaginare un assassino che fra videosorveglianza, tracce telematiche e cellulari riesca a farla franca.
C’è una teoria che ipotizza che oggi ci siano meno serial killer in circolazione perché sarebbe più facile scoprirli (o forse si sono fatti solo più furbi). Anche io ho dovuto occuparmi di questi aspetti quando facevo l’investigatore davvero e per me che non sono mai stato particolarmente tecnologico è stata una sfida continua. La parte squisitamente intellettiva però resta sempre. Come dicono i poliziotti, alla fine quello che risolve tutto è sempre il così detto “lavoro di gambe”. Fabio Costa, in questo senso, insegna.
TL: Il metodo di lavoro di Fabio Costa (sin da La condanna dei viventi) si basa su una rilettura costante degli indizi a disposizione, su un continuo “ricominciare da capo”. Questo era anche il tuo modus operandi, quando lavoravi in Polizia? Da scrittore, come procedi?
Marco De Franchi: Come appunto ho appena detto, il metodo Costa è quello che alla fine conferisce il colpo decisivo all’indagine. Dal punto di vista strettamente investigativo, rileggere continuamente gli elementi che hai raccolto nel corso di un caso è fondamentale.
L’ho imparato in quasi trentacinque anni di polizia giudiziaria. Le cose ti sfuggono alla prima lettura. E a volte anche alla seconda e alla terza. Non bisogna mai arrendersi e soprattutto scoraggiarsi.
Con la scrittura è la stessa cosa, soprattutto quando hai a che fare con un editor puntiglioso e bravissimo come quello con cui lavoro io, Fabrizio Cocco della Longanesi. La rilettura, l’esame delle singole parti per evitare che ci sia qualche sbavatura ripetuto cinque, sei, dieci volte fino alla nausea e alla disperazione alla fine ti mette al sicuro. Quando hai finito di revisionare tutto sei esausto ma, al di là dei risultati che il libro avrà per il mondo, tu sai di aver fatto il massimo. È un grande lavoro che dà enormi soddisfazioni. È solo più complicato di quanto si pensi comunemente.
TL: Alla fine del libro, vari filoni narrativi rimangono aperti. È già in cantiere un terzo volume della serie?
MDF: La prima bozza della Condanna prevedeva un finale immediato. Poi la mia agente, il mio editor, tutti quelli che lo avevano letto mi fecero notare che c’erano ancora cose da dire, temi da approfondire, zone d’ombra che bisognava illuminare. Quindi ho scritto il Maestro e sto terminando di scrivere il terzo e, credo proprio, definitivo capitolo. Come ti ho detto, là giungerà a conclusione l’inevitabile trasformazione dei miei personaggi e ci saranno risposte a molte domande.
TL: Prima di salutarci, quale messaggio o augurio vuoi lasciare ai lettori di Thriller life?
Marco De Franchi: Da quando sono arrivato al grande pubblico ho scoperto una formidabile partecipazione al processo creativo. Ci sono decine di lettrici e lettori che mi scrivono sollevando dubbi, facendo domande, suggerendo risposte. È davvero fantastico. Ecco, auguro ai lettori di Thriller Life di non smettere mai di trovare nei libri che leggono gli stimoli necessari a farsi “editor” dei loro scrittori preferiti.
L’attenzione dei lettori è la linfa di chi scrive e ogni romanzo dovrebbe essere una sorta di spazio in cui ci si ritrova tutti quanti, accomunati dalla stessa passione per il Mistero e la sua oscurità.
Ringraziamo Marco De Franchi per la sua disponibilità.