Intervista a Tom Hofland
Spazio a cura di: Claudia Pieri e Samuela Moro
Intervista di: Erika Giliberto
Tom Hofland è il graditissimo ospite di oggi nel nostro spazio dedicato alle interviste.
Tom Hofland, classe 1990, è uno scrittore e podcaster olandese. Nel 2018 il quotidiano “de Volkskrant” lo ha definito il più grande talento letterario dei Paesi Bassi. Il cannibale è il suo terzo romanzo, vincitore, per «la sua sperimentazione formale, il suo senso dell’umorismo e la sua originalità», del BNG Bank Literature Prize 2022.
Il cannibale, letto e recensito qui da Erika Giliberto, denuncia, con la sua prosa trascinante, la dittatura disumanizzante del lavoro che deve essere efficiente e produttivo ai massimi livelli.
Tom Hofland ha gentilmente risposto alle nostre domande:
Thriller Life: Senza dubbio, uno dei personaggi di spicco in questa storia è il signor Lombard. Puoi condividere con noi il processo creativo con cui hai delineato le caratteristiche di questo personaggio? Sarebbe interessante comprendere le fonti d’ispirazione e le motivazioni che hanno plasmato la personalità di Lombard e contribuito alla creazione della sua inquietante presenza all’interno della trama del thriller.
Tom Hofland:
Sapevo di voler scrivere una storia thriller con un cattivo che non era molto violento o intimidatorio fisicamente parlando, ma più intimidatorio nel suo tono e nel dialogo. Un’influenza molto diretta fu il vero Didier Lombard, che era il presidente di France Telecom negli anni 2000.
Ha reso la vita dei suoi impiegati miserabile in modo che lasciassero il loro lavoro. Le sue decisioni hanno portato molte persone al suicidio, e ha ottenuto una condanna in prigione per questo. Ho anche tratto ispirazione da V.M Varga dalla serie Fargo. Nella serie sembra un burocrate molto noioso, ma è una delle persone più spaventose che abbia mai visto sullo schermo solo dal modo in cui parla.
T.L.: La tua narrativa in “Il cannibale” si distingue per il tono grottesco e ironico, creando una combinazione unica che cattura l’attenzione del lettore. Potresti condividere con noi quali influenze letterarie hanno contribuito a sviluppare questo stile così particolare?
Tom Hofland: Credo di aver subito diverse influenze da film e serie TV. Sono un grande fan dei film dei fratelli Coen e mi piacciono molto le opere del regista olandese Alex van Warmerdam. Ma trovo molto stimolante anche film come ‘L’aragosta’ di Yorgos Lanthimos.
Penso che tutti questi registi sappiano come combinare la violenza grottesca con un senso dell’umorismo contorto, che è qualcosa che volevo davvero provare nella forma di un romanzo.
Se dovessi nominare dei riferimenti letterari, penso che dovrei sempre chiamare Kafka e Márquez. Adoro l’assurdità del primo, e il realismo magico del secondo. Trovo sempre stimolante leggere le loro opere.
T.L.: La storia accende i riflettori su un problema molto comune al giorno d’oggi, ossia la disumanizzazione spesso presente nei luoghi di lavoro. Come mai hai deciso di utilizzare proprio questa tematica così ardua e complessa?
T.H.: Ero interessato al tema perché ho sperimentato di persona alcuni momenti dolorosi sul posto di lavoro. Lavoravo per la televisione olandese e non mi sembrava che i dipendenti fossero trattati con il rispetto che meritavano.
C’era molta pressione e mancanza di fiducia, e non era strano che la gente piangesse sul posto di lavoro. Mi sembrava tutto così assurdo.
Credo di aver letto dell’ondata suicida alla France Telecom nello stesso periodo, e ho iniziato a parlare con altre persone delle loro esperienze sul posto di lavoro. Più ne sapevo, più mi arrabbiavo e questo mi faceva venire voglia di scrivere di questo argomento.
T.L.: Leggendo il tuo romanzo, emerge un palpabile senso di inquietudine, simile a quello suscitato dalla visione di un film thriller o horror. Hai mai pensato a un adattamento di questa storia per il grande schermo? E nel caso, quali attori noti vedresti nei diversi ruoli?
Tom Hofland: Adoro questa domanda!
Stiamo effettivamente lavorando su un adattamento cinematografico del libro mentre parliamo. Siamo ancora in fase di sceneggiatura, e probabilmente ci vorrà del tempo, ma spero davvero che avremo la possibilità di portare la storia sul grande schermo.
Sarà una produzione olandese ma visto che alcune scene sono ambientate in Italia, speriamo di trovare un co-produttore italiano. Quindi speriamo che i fan del libro in Italia saranno anche in grado di vedere il film, quando uscirà.
T.L.: Il Cannibale porta all’esasperazione i rapporti tra colleghi di lavoro e superiori. Qual è il messaggio che desideravi trasmettere ai lettori al termine della loro esperienza con questa storia?
Tom Hofland:
Quello che ho sperimentato su me stesso ed ho sentito dire da altri è che la maggior parte dei manager in realtà non hanno alcuna capacità di relazionarsi con le persone. Sono addestrati per essere efficienti, ma non hanno idea di come rendere le persone felici ed il lavoro un’esperienza in qualche modo piacevole.
Questo porta sempre a un divario tra la gestione e la forza lavoro reale, che porta a molti problemi. Penso che il messaggio che vorrei semplicemente trasmettere è che i manager dovrebbero trattare i loro dipendenti come persone reali e che dovrebbero sentirsi responsabili per il loro benessere.
T.L.: Reiner, accompagnato dal suo cane nero, è un personaggio inusuale e bizzarro. Quali riflessioni hanno contribuito alla creazione di questa accoppiata, e come si inseriscono nella trama complessiva del tuo thriller?
Tom Hofland: Volevo che Reiner fosse una figura maschile molto sopra le righe. Ecco perché guida un’auto enorme e indossa il costume da cowboy. Ma è anche descritto con occhi molto teneri e premurosi, come quello di un padre. Mi piace perché è molto disarmante, in un certo senso, proprio per questo.
Il cane è probabilmente il più cattivo di tutti e tre gli antagonisti. Non parla e non fa quasi mai del male, ma mi piace credere che sia il boss di Lombard e Reiner. Si basa sulla credenza folcloristica del Nord Europa che il diavolo a volte può mostrarsi come un cane nero, specialmente un barboncino.
Questo è anche il modo in cui appare a Faust nel lavoro di Goethe. Quindi se guardaste al barboncino come se fosse il diavolo, penso che Lombard e Reiner siano solo demoni, disposti a fare il suo lavoro.
T.L.: L’ansia pervasiva che permea l’intera storia, l’ironia accompagnata al grottesco, i luoghi tenebrosi e i personaggi eccentrici fanno emergere parallelismi con l’estetica tipica dei libri di Stephen King. È un autore a cui ti sei effettivamente ispirato nell’elaborazione di questa storia? Se sì, come hai bilanciato l’omaggio al genere con la creazione di un’opera unica e distintiva?
T.H.: Molto interessante! Ho sentito questo paragone, ma temo di dover confessare che non ho mai letto alcun romanzo di Stephen King. Penso di aver visto alcuni dei film basati sulle sue opere, ma nessuno di loro mi è rimasto impresso. Probabilmente dovrei leggere qualche suo libro.
T.L.: Prima di salutarci, quale messaggio o augurio vorresti lasciare ai nostri lettori?
Tom Hofland: Non volevo che il messaggio fosse evidente, ma ci sono alcune cose che volevo comunicare.
Innanzitutto, capisco molto bene che è più facile lasciare che il male faccia il suo corso, perché intervenire richiede tempo e fatica. Ma è così che il male prospera: quando le persone che sono in grado di intervenire, volgono lo sguardo altrove. Devi essere molto coraggioso per metterti in gioco e dire “basta” quando vedi qualcosa di sbagliato. Ma penso che dovremmo provarci tutti quando ne abbiamo l’occasione.
T.L.: Grazie mille per la sua disponibilità e per il tuo tempo.
T.H.: Di nulla!
Ringraziamo Marco Niro per la sua disponibilità.
Ringraziamo Barbara Terenghi Zaia per il suo prezioso aiuto nella traduzione dell’intervista.
Ringraziamo Costanza, dell’Ufficio Stampa della Carbonio Editore, per la disponibilità e la cortesia.