Riddance di Shelley Jackson

Riddance
Ancora oggi mi domando se non ci fosse magari, chissà, al di sotto di quella sua insoddisfazione nei miei confronti, un amore che si intravedeva forse in quei momenti che passavamo da soli, muto e resistente come un organismo endolitico. E poi mi rispondo: no.

Riddance

Recensione di: Chantal Guzzetti

TRAMA:

Cosa accade tra le mura dell’Istituto Professionale Sybil Joines per Portavoce di Fantasmi e Giovani dalle Bocche Udenti? Cos’è questo luogo fondato nel 1890 in cui trovano rifugio bambini con problemi di articolazione del linguaggio? Di cosa si parla nei lacerti di un misterioso trattato intitolato Princìpi di Necrofisica? Chi è che scrive tutte queste lettere a grandi scrittori morti? Da dove arrivano le immagini che di tanto in tanto, mentre leggiamo, fanno la loro comparsa nelle nostre menti? Perché abbiamo l’impressione di essere visitati da ricordi altrui?

Apparso nel 2018 e frutto di dodici anni di lavoro, Riddance è l’opera che racchiude al suo interno la totalità dei temi, delle tecniche e delle ossessioni esplorati da Shelley Jackson in decenni di pratica letteraria e performativa. Sin dai suoi esordi l’autrice statunitense ha sempre dimostrato una certa avversione nei confronti dello spazio totalitario della pagina. Il movimento della sua scrittura è infatti eccentrico. Ciò che resta al lettore, in forma di parola leggibile, non è che la somma delle cicatrici di un’attività fantasma frutto di interpolazioni, sovrapposizioni di voci, architetture ipertestuali.

Sospinto da una scrittura unica, questo libro racconta una storia ricostruita, ma anche una storia distrutta, o meglio una storia che si distrugge, in uno sconvolgente equilibrio di orrore e umorismo nero, visioni che vengono dal passato e memorie che echeggiano dal futuro, una riflessione sul dispositivo del linguaggio, un romanzo ottocentesco immerso nella frammentazione di una spettrale e vivida coscienza contemporanea.

RECENSIONE:

Shelley Jackson ha impiegato 12 anni per scrivere Riddance e dire che è un libro fuori dal comune, non facile da apprezzare, significherebbe poco o niente.

Vagare dentro e fuori dalla morte fa viaggiare il lettore su piani diversi rispetto alle solite trame, più o meno lineari, che spaziano al massimo tra punti di vista diversi e flashback. Non che questi ultimi non facciano di una storia un ottimo libro, al contrario. La tecnica narrativa, se c’è, si riconosce e si apprezza.

Riddance appare come un saggio sulla morte, scritto in parte dalla protagonista, e su coloro che fanno da tramite tra l’aldilà e la vita. Non sempre, però, è facile seguire il filo dei periodi infinitamente lunghi. È un libro originale e complesso, ma la storia della protagonista colpisce particolarmente. Lei è Janice Grandison.

Un aspetto rilevante, fin dall’inizio, è il modo realistico e mutevole di come una bambina, che diventa prima ragazza e poi donna, vede suo padre. In questo caso abbiamo un uomo burbero e violento di altri tempi che, da una parte, sottomette la moglie in malo modo, dall’altra, appare come un bimbo solo al mondo, appassionato di scienza, che cerca di qualificare sé stesso come esperto, quale non è. Un uomo frustrato. Tutto questo un centinaio di anni fa.

È affascinante anche rivivere in Riddance la storia di una ragazza balbuziente che non se ne fa nulla di avere una famiglia ricca, perché non riesce a farsi degli amici e che ha un padre che la disprezza per il suo handicap. Lei vorrebbe solo che la madre reagisse e che facesse uscire la ragazza ribelle che ha scordato di essere.

Seguire il mutamento di pensiero negli anni della protagonista, da bambina ad adulta, fa riflettere su come tutti noi vediamo i nostri genitori: prima invincibili, forse, poi semplicemente persone con le loro fragilità. Tuttavia, non si può negare, e questo testo lo dimostra, che l’esempio dei nostri genitori influenzi le nostre decisioni future. In che modo, dipende da noi e dall’impronta negativa o positiva della considerazione.

Il rapporto padre-figlia descritto è toccante, realistico, anche se si parla di un periodo storico lontano dal nostro, al punto da capire come certe relazioni viaggino su un filo conduttore eterno e universale che differisce in piccole sfumature dettate solo dai tempi che cambiano ma che, in fondo, restano uguali.

Il modo in cui Shelley Jackson descrive l’aldilà e ce lo mostra in un’immagine palpabile, strega la mente e la cattura. La morte appare come un sogno, qualcosa che non va temuto. Le descrizioni sono sublimi, delicate e tridimensionali. Esprimono uno stato d’animo simile a quello di chi li ha vissuti nel tempo e ne narra il ricordo.

Riddance è astratto. Fatto di racconti, ricordi e lettere ai defunti. Quanto può apparire assurdo scrivere una lettera a un morto? Folle, si potrebbe dire, ma è ciò che fa di questo libro, insieme alla personalità della protagonista, un’opera originale nel suo genere. Trova anche una perfetta collocazione scientifica nei primi del 1900 e ciò, insieme al linguaggio, ne determina anche i colori.

Nonostante sia un libro davvero ben scritto, i flussi di coscienza, tra lettere e testimonianze, partono spesso per la tangente. Coerenti con romanzi di altri tempi, in prima persona, le elucubrazioni fanno giri immensi e fanno perdere non solo il filo dell’argomento, ma anche quello della storia.

Ci si perde nelle speculazioni riguardo la morte e le parole, od oggetti, usciti dalle bocche dei piccoli pazienti dell’istituto. Tutto questo con il rischio di annoiare il lettore… a morte. Non è assolutamente una facile lettura. Non adatta alla spiaggia.

Traduzione: Valentina Maini

Editore: Rina edizioni

Pagine: 485

Anno pubblicazione: 2024

AUTORE:

Riddance

Shelley Jackson è nata nelle Filippine, Jackson è cresciuta a Berkeley, in California, con sua sorella Pam. Ha ricevuto una Bachelor of Arts dalla Stanford University e un master in scrittura creativa dalla Brown University. È conosciuta per il suo ipertesto “Patchwork Girl” pubblicato dalla Eastgate Systems nel 1995, una rielaborazione del Frankenstein di Mary Shelley. Un altro dei suoi progetti interessanti è il progetto “Skin”, un'”opera d’arte mortale”[1]. Jackson ha composto un racconto in modo che fosse tatuato su dei volontari, una parola alla volta. I partecipanti sono noti come “parole”. Un terzo progetto è il cosiddetto “Gioco delle Bambole”, in collaborazione con la sorella Pam.

Ha scritto diversi racconti, pubblicati su diverse riviste, e raccolti nel libro La melancolia del corpo, che si sviluppa attorno al tema del corpo umano.

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