Non ci sono
Recensione di Federica Cervini
TRAMA di “Non ci sono”
Leo e Simon stanno insieme da dieci anni. Uniti dal trauma di un’infanzia difficile e di una giovinezza
segnata dal lutto, sono sempre stati capaci di trovare rifugio l’una tra le braccia dell’altro.
Finché un giorno, all’improvviso, tutto cambia. Simon torna a casa nel pieno della notte con un nuovo tatuaggio e un atteggiamento bizzarro. Da allora comincia a comportarsi in modo sempre più strano, e a poco a poco la vita di Leo – costruita con fatica – cade a pezzi.
Finché le cose non si mettono davvero male. “Non ci sono” è una storia di dedizione e di tradimento, la storia di due persone – imperfette entrambe, ognuna a modo suo – che fanno di tutto per emergere, amare e vivere. “Non ci sono” è una lettura elettrizzante.
Spit ci accompagna verso lo svelamento dei fatti con mano sicura, disseminando sapientemente informazioni e indizi. Al tempo stesso riesce a pieno nella creazione di un ritratto tridimensionale e profondo di Leo e Simon, due individui segnati dal dolore. Dopo il successo internazionale di “Si scioglie”, l’autrice si dimostra ancora una volta maestra della suspense.
Il libro inizia come un thriller, ma si sviluppa come il racconto di una storia d’amore insieme magnifica e brutale.
RECENSIONE
“La fiducia è come un cerotto. Una volta tolto, non si attacca mai completamente di nuovo”. “Non ci sono” ci fa sprofondare nel baratro oscuro della malattia psichiatrica, raccontandola al lettore dal punto di vista di chi vive accanto al malato.
Con uno stile claustrofobico che lascia davvero senza fiato, Lize Spit costruisce un thriller che è al contempo sofferente e molto delicato.
Nei tantissimi brevi capitoli di cui “Non ci sono” si compone, assistiamo alla folle corsa in bicicletta fra le strade di Bruxelles da parte di Leo, che si reca dal negozio a casa nel tentativo di raggiungere Simon prima che avvenga l’irreparabile.
Tali capitoli sono alternati a tutti quelli in cui conosciamo la coppia e assistiamo alla prima crisi psicotica di Simon, poi il ricovero, poi la diagnosi di disturbo bipolare. E’ un lento, ma inesorabile percorso di avvicinamento, da un lato ai personaggi – per capirli ed empatizzare con entrambi i protagonisti -, dall’altro alla malattia mentale.
Simon e Leo hanno entrambi molto sofferto fin da bambini e hanno perso la madre; i rispettivi padri sono entrambi assenti e anaffettivi. La loro coppia, che si è formata già da 10 anni, è l’unica esperienza che hanno fatto di “casa” cioè di un luogo in cui trovare affetto e sicurezza.
Ma i muri iniziano ad incrinarsi quando una notte esplode la psicosi di Simon: di lì in avanti Leo si definisce “sradicata e smarrita” a causa del senso di solitudine che sperimenta nel riconoscere nel compagno comportamenti prima bizzarri, poi inaccettabili, infine pericolosi.
La negazione iniziale del problema e il pensare di poter arginare le manie di persecuzione di Simon rendono impossibile non empatizzare con Leo – una donna che ama. Simon, di capitolo in capitolo, non è più in grado di distinguere ciò che è reale da ciò che, invece, è frutto del suo stesso delirio e se Leo tenta di contenere una situazione pericolosissima, in realtà, non ne ha né le forze, né le capacità.
Il modo di fare sconclusionato e magalomane delle fasi maniacali della malattia lasciano i protagonisti e il lettore senza forze, sfiniti. “Simon teneva lunghi monologhi, non aveva tempo o voglia di
mangiare, svuotava la lavastoviglie alle sei di mattina, aveva costantemente un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, andava al night shop a comprare carta e colla, dormiva pochissimo e si
stizziva facilmente”.
Nel disturbo bipolare subentra poi la fase depressiva: dall’iperattività e dai pensieri veloci, il malato passa ad una condizione di profonda tristezza, angoscia, incapacità di programmare alcunché.
E’ una vita sulle montagne russe a cui, nelle pagine di descrizione delle settimane di ricovero in psichiatria, pare si possa trovare una soluzione. Simon va in mille pezzi: psicosi e paranoia logorano sia chi ne
soffre sia chi sta accanto al malato, come descrive Lize Spit.
Il ricovero in psichiatria e l’uso degli psicofarmaci è un dramma così come il senso di oppressione che sperimentano i protagonisti, di totale sfinimento e di alterazione nei progetti di vita condivisa di una coppia in cui ci sia un paziente psicotico.
“Non ci sono” ci parla di moltissimi sentimenti e comportamenti:
- il timore e la mancanza di coraggio ad affrontare una diagnosi da parte di chi vive con il malato (“Mi ero data più volte un limite di tempo per portarlo da un dottore, o da uno psicologo, o da un esperto di elaborazione del lutto se necessario, ma ogni volta mi era mancato il coraggio di prendere un appuntamento, per paura che il suo bizzarro comportamento peggiorasse ulteriormente”)
- i tentativi di fare una “autodiagnosi” per reperire informazioni (“Quella sera googlai ‘paranoia e insonnia’. Non ci fu bisogno di cercare molto: con mio grande spavento mi imbattei subito in un quadro clinico in cui anche tutti gli altri sintomi corrispondevano agli strani comportamenti di Simon degli ultimi tre mesi”)
- la paura (“Avvertivo costantemente la presenza del corpo di Simon accanto al mio, aveva un che di minaccioso, un vulcano sopito che poteva tornare attivo da un momento all’altro”).
“Non ci sono” costringe il lettore a quella folle corsa in bicicletta verso la fine, in un continuo andirivieni da speranza a disperazione – e costantemente il ritmo della narrazione varia da velocissimo, soffocante e vertiginoso quando Simon vive la fase maniacale di malattia, a lento e straziante tutte le volte in cui
Leo rimanda la decisione di cercare l’aiuto di uno specialista,
nonostante la gravità della situazione.
“Non ci sono” costringe il lettore a guardare in faccia la dura realtà del disturbo bipolare in particolare e della malattia mentale in generale: l’autrice denuncia il pericolo incombente in qualsiasi soggetto, pone interrogativi su una condizione sia dolorosa che socialmente pericolosa, in più di 500 pagine che non sono mai noiose. E’ un thriller e al contempo una storia d’amore soffocante e spietata.
TRADUZIONE Valentina Freschi ed Elisabetta Svaluto
EDITORE Edizioni e/o
PAGINE 544
ANNO DI PUBBLICAZIONE 2024
AUTORE
Lize Spit (1988) è una scrittrice belga, è nata e vive a Bruxelles.
Ha studiato a Bruxelles al Royal Institute for Theatre, Cinema and Sound (RITCS), dove ha preso un master in sceneggiatura.
Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo “Si scioglie” (edizioni e/o 2017).
È considerata uno degli astri nascenti della letteratura fiamminga.