Il nuovo thriller “La sentenza è morte” di Anthony Horowitz

La sentenza è morte
"Escludendo l'impossibile resta soltanto, per quanto improbabile, la verità”

La sentenza è morte

Recensione di: Chantal Guzzetti

TRAMA:

Se a Londra c’è un business redditizio e con pochi rischi è quello dei divorzi. Almeno questo pensava l’avvocato Richard Pryce prima di venire tramortito e ucciso con una bottiglia da duemila sterline di Château Lafite Rothschild nella sua villa di Fitzroy Park. Un particolare bizzarro, considerato che Pryce, che si è assicurato una discreta fortuna rappresentando le celebrità londinesi in cause di separazione milionarie, era astemio.

Ma i punti interrogativi non finiscono qui: a che cosa fa riferimento il numero a tre cifre (182) pitturato sulle pareti dello studio? E a chi erano rivolte le parole di Pryce – “Tu che ci fai qui? È un po’ tardi” – sentite pronunciare dal marito, al telefono con lui prima che cadesse la linea? Per il caso la polizia si affida a Daniel Hawthorne, ex piedipiatti che tuttora collabora con le forze dell’ordine nei casi più spinosi, e Hawthorne tira in mezzo ancora una volta lo scrittore Anthony Horowitz.

Nonostante le incompatibilità caratteriali – uomo scontroso e iracondo il primo, decisamente più mite il famoso giallista – i due formano ormai una coppia ben collaudata, e si imbarcano in un’indagine che trabocca di sospettati con moventi più che validi ma alibi altrettanto solidi. Nonché, zeppa di segreti; perché qui, in questo Cluedo appassionante e dalle mille svolte impreviste, ogni personaggio sembra mentire, primi fra tutti lo stesso Hawthorne e il geniale scrittore.

RECENSIONE:

Chi non ama il geniale Sherlock Holmes? Se c’è un’accoppiata celebre nella storia della letteratura in giallo, è proprio quella creata dall’altrettanto famoso Arthur Conan Doyle, costituita da Holmes e il suo aiutante, il dottor Watson. Una coppia di investigatori che ancora funziona e che ispira gli autori contemporanei alla quale, volendo, possiamo aggiungere un terzo personaggio: quello dell’ispettore Lestrade.

Tre elementi che, come un cliché ben ideato, possono garantire la riuscita di una storia. La Christie, ad esempio, pochi anni dopo ci ha regalato un altro duo o terzetto: Poirot, Hastings e  l’Ispettore Capo James Japp. Cosa fa dunque Anthony Horowitz nel suo “La sentenza è morte” ? Crea, con astuzia, e senza scimmiottare Sherlock Holmes, i due protagonisti dei sui gialli: Daniel Hawthorne e Anthony Horowitz, affiancando loro un’antieroina, l’ispettrice Cara Grunshaw.

Tony (Anthony Horowitz), scrittore di polizieschi di fama, come personaggio del libro ha già scritto di Sherlock Holmes, in passato. Può dire di essere un esperto e si ritrova a dover collaborare ancora con Hawthorne, che un po’ glielo ricorda. Hawthorne è geniale, introverso e burbero; non è certo un personaggio con il quale è piacevole avere a che fare, ma Anthony ha firmato un contratto: deve scrivere tre libri su di lui e questo è il secondo romanzo della serie. Nuovo caso, nuovo libro.

Ne “La sentenza è morte”, l’autore porta indietro le lancette del tempo e ci regala, insieme al profumo e ai colori londinesi, anche i battibecchi e le dinamiche che gli amanti del giallo conoscono da sempre. Hawthorne non spiega quasi nulla al povero Tony, che gli corre dietro, sperando di arrivare alla risoluzione del caso, ma continua a prendere solo cantonate. Sarà la pressione della Grunshaw?

Quest’ultimo personaggio è un po’ forzato; esageratamente acida e cattiva, la Grunshaw sembra essere stata piazzata lì per convenienza, per far quadrare i conti, ma il suo carattere eccessivo è l’unico elemento che stona, almeno in parte, nella struttura del romanzo. Tutti gli investigatori che lavorano per le forze dell’ordine, si sentono minacciati dal genio di turno che collabora con la polizia. L’ennesimo cliché, l’unico del libro che poteva essere evitato.

Tuttavia, il resto fila bene. Ne “La sentenza è morte” la storia è narrata in prima persona dal protagonista, un po’ come avviene in “Uno studio in rosso” (1888), con la differenza che narratore e autore coincidono e, quest’ultimo si è calato perfettamente nel personaggio del suo omonimo. La lunghezza dei capitoli è media e la narrazione è lineare.

Leggendo il romanzo, la voglia di arrivare al dunque è tanta, perché i sospettati sono molti, tutti collegati in qualche modo tra loro e tutti con una ragione per uccidere Richard Pryce. La risoluzione del caso è solo una questione di dettagli, quelli che solo una mente brillante e attenta come Hawtorne, il nuovo Holmes, può notare.

Anthony Horowitz ha ridato vita a due icone dell’investigazione, prima con “Detective in cerca di autore”, opera del 2023, e ora con “La sentenza è morte”. Un’abile mossa che porta il lettore ad attendere con ansia il terzo volume, sperando che sveli i segreti del misterioso Daniel Hawthorne.

D’altra parte, la serie con protagonisti Hawthorne e Horowitz è costituita da gialli coinvolgenti, che mettono sul piatto dei personaggi sfaccettati con i loro vizi e le loro virtù, e tutti gli indizi per poter risolvere il mistero. Una sfida di lettura alla vecchia maniera: molto interessante.

Traduzione: Francesca Campisi

Editore: Rizzoli

Pagine: 304

Anno di pubblicazione: 2024

AUTORE:

La sentenza è morte

Anthony Horowitz è uno degli scrittori più prolifici ed eclettici del Regno Unito. Noto soprattutto per la serie bestseller di Alex Rider, è anche sceneggiatore per la televisione, e ha prodotto, tra le altre, la prima stagione dell’Ispettore Barnaby. Nel 2014 ha ricevuto il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico per meriti in campo letterario. Nel 2023 esce per Rizzoli, Detective in cerca d’autore, primo titolo del detective Daniel Hawthorne.

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