Giorgio Ballario, nato a Torino nel 1964, è giornalista per La Stampa e autore prolifico. Oltre a romanzi come Il destino dell’avvoltoio (2018) e Niente di personale (2021), nel 2016 scrive Vita spericolata di Albert Spaggiari, la biografia di un famoso ladro francese degli anni 70, con cui arriva finalista al premio Acqui Storia. Nel 2017 dà vita a Fuori dal coro, una raccolta di cinquantacinque personaggi del Novecento che hanno in comune il fatto di aver vissuto la propria vita controcorrente e di aver seguito i propri principi fino alla fine.
Raggiunge il cuore dei propri lettori con il Maggiore Aldo Morosini, protagonista dei cinque romanzi ambientati nell’Africa Orientale Italiana degli anni ’30, durante la guerra d’Etiopia: Morire è un attimo (2008), Una donna di troppo (2009), Le rose di Axum (2012), Le nebbie di Massaua (2018) e Intrigo ad Asmara (2020). In contemporanea alle vicende del Maggiore Morosini, si dedica alla creazione di un altro personaggio destinato al successo: l’investigatore privato italo-argentino Hector Perazzo. Protagonista indiscusso de Il volo della cicala (2010), Nero TAV. Morte ad alta velocità (2014) e Torino non è Buenos Aires (2021), lo ritroviamo nel nuovissimo libro dell’autore, uscito a febbraio di quest’anno, Il tango dei morti senza nome. Il suo amore per la letteratura ha dato vita nel 2014 a Torinonoir, un collettivo di scrittori torinesi dediti al giallo/noir.
I suoi romanzi sono la pura espressione della sua passione per la storia e del suo interesse verso la cronaca nera della quale si occupa, grazie ai quali riesce a regalare al lettore quadri socio-politici accurati e precisi. Il suo essere giornalista contribuisce nel restituire concretezza alle vicende che narra, e che spesso sono un mezzo per portare alla luce pezzi di storia che sono stati dimenticati.
Ne Il tango dei morti senza nome riesce a mescolare sapientemente l’accuratezza storica all’umanità di un investigatore privato immigrato e costretto a tornare nella propria terra d’origine per risolvere un caso spinoso. Tramite Hector Perazzo riesce a mostrarci tutta la fragilità e la forza che caratterizzano ciascuno di noi, ed è proprio l’unione di realismo storico e umano a contraddistinguere il suo ultimo libro. Potete trovare QUI la nostra recensione.
Giorgio Ballario ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
Leggendo Il tango dei morti senza nome è inevitabile pensare agli anni di piombo in Italia, caratterizzati da violenza politica e terrorismo. Quanto hanno pesato le nostre esperienze, come ad esempio il caso Aldo Moro, sulla costruzione del caso Grimaldi Stucchi?
In qualche modo il fenomeno del terrorismo, che ha attraversato l’Italia per almeno un quindicennio (fine anni Sessanta – inizio anni Ottanta), ha avuto il suo peso, anche perché per motivi anagrafici ho fatto in tempo a viverne la parte finale. Però per realizzare la trama de “Il tango dei morti senza nome” ho tenuto presente due casi di sequestro degli anni Settanta che hanno riguardato vittime italiane: il rapimento del direttore generale della Fiat Argentina Oberdan Sallustro da parte dell’Erp (nel 1972) e quello di pochi anni dopo dell’amministratore delegato di Fiat France Luchino Revelli Beaumont, sequestrato a Parigi da una strana banda di guerriglieri peronisti e criminali comuni. Revelli Beaumont fu liberato dopo il pagamento di un riscatto, Sallustro venne invece ucciso. Il sequestro (inventato) del manager italiano Grimaldi Stucchi è ispirato a questi due casi.
Nel romanzo emerge un’Argentina ancora oggi politicamente corrotta, che porta sulle spalle il peso della dittatura civile-militare di fine anni 70. Quanto il tuo essere giornalista ha influito nella decisione di raccontarci questa situazione?
Descrivo senza sconti i molti difetti dell’Argentina, che tuttavia sono gli stessi di altri Paesi sudamericani e persino europei. Le ragioni sono storiche, di sicuro il periodo buio della dittatura ha pesato, ma la debolezza argentina non dipende solo da quello, hanno contato anche certe derive neoliberiste degli anni Novanta. Come giornalista non mi sono mai occupato di esteri, però conosco abbastanza bene la realtà sudamericana per studi passati, per interesse personale, per alcuni viaggi che ho fatto cercando di andare al di là del semplice turismo.
Perazzo è un investigatore, ma lo svilupparsi della trama lo allontana molto dalla canonica figura del detective furbo e brillante al quale siamo abituati. Lui stesso dice di sé: “tutti mi avevano fatto ballare come un burattino mosso da fili invisibili”. Da cosa deriva la scelta di una caratterizzazione di questo tipo?
Hector Perazzo è un investigatore privato, figura classica della letteratura poliziesca ma di per sé molto “novecentesca”: nel mondo contemporaneo non c’è più posto per i detective alla Philip Marlowe. Quindi Perazzo nasce già un po’ fuori dal tempo, a questo si aggiunga che è a modo suo un immigrato, un argentino di origine italiana che ha fatto il cammino inverso ai suoi antenati, trasferendosi da Buenos Aires all’Italia, perciò un eterno sradicato. Ho cercato di dargli dei connotati realistici e molto umani e nella vita reale un investigatore privato è tutt’altro che un superman che affronta i nemici a cazzotti e pistolettate. Diciamo che nel crearlo ho pensato più a Pepe Carvalho di Vàzquz Montalbàn che non ai duri dell’hard-boiled americano.
Durante la storia, il detective Perazzo si ritrova allo stadio ad assistere a una partita del campionato argentino, e viene fatto il paragone tra la tifoseria argentina e quella italiana. L’impressione è che abbia voluto sottintendere una critica al modo di vivere il calcio oggi in Italia. Era tua intenzione?
Sì, a Buenos Aires ho avuto occasione di andare allo stadio per vedere il “superclasico” fra River Plate e Boca Juniors (descritto in un capitolo del romanzo) e lì mi sono reso conto di come in Argentina, e penso anche in molti altri Paesi sudamericani, il calcio sia ancora una sincera passione popolare. Un fenomeno molto diverso dal calcio miliardario, ingessato e plastificato che vediamo in Italia e in Europa, sempre meno sport e sempre più business e spettacolo d’intrattenimento per ricchi (per andare a vedere certe partite serve un mutuo…).
Se dovessi indicare tre parole che ti rappresentano, quali sarebbero?
Questa è davvero una domanda difficile: senza pensarci troppo e rimanendo nel campo della scrittura direi realismo, noir e solitudine.
Se dovessi scegliere tre cose di cui non potresti mai fare a meno, ovviamente escludendo la scrittura, quali sarebbero?
Lasciando da parte gli affetti familiari e la salute, che diamo per scontati, dico viaggiare, essere in contatto con la natura e leggere. Se potessi aggiungerne un’altra direi la buona tavola (cibo più vino).
Prima di salutarci e anzi, proprio per inaugurare un saluto di eccezione, che messaggio o augurio ti piacerebbe lasciare ai nostri lettori?
Auguro loro di trovare nei miei libri ciò che spesso apprezzo nei romanzi degli autori che preferisco: passione, emozione, piacere di scoprire nuovi mondi.
ThrillerLife ringrazia Giorgio Ballario
a cura di Ketty Marchese e Nina Palazzini