La Svedese
Recensione di Samantha Pascucci
Roma non ha più un padrone, ognuno può prenderne un pezzo. Lei lo ha fatto. Era una ragazza di borgata come tante, con sogni nemmeno troppo grandi. Poi ha afferrato un’occasione, ed è diventata la Svedese.
A mano a mano che la mezzanotte si avvicinava, la foresta dei tetti si andava popolando di gente, e dall’orizzonte si intensificavano i bagliori e cresceva lo scoppiettante concerto dei botti. Le autorità avevano vietato di sparare, e Roma tutta sparava; le autorità avevano vietato gli assembramenti e le terrazze brulicavano di umanità.
Sharon, detta Sharo, poco più di vent’anni, bionda, alta, magra, la faccia sempre imbronciata; non una bellezza classica, eppure attira gli uomini come il miele le mosche. Vive in periferia con la madre invalida e ha bruciato un bel po’ di lavoretti precari sempre per la stessa ragione: le mani lunghe dei capi. Poi una misteriosa consegna portata a termine per conto del fidanzato, un piccolo balordo, cambia la sua esistenza. Con la protezione di un annoiato aristocratico, Sharo inizia la sua irresistibile ascesa criminale. Ma la mala che conta, quella che controlla il mercato della droga, si accorge di lei e comincia a tenerla d’occhio, a guardarla con rispetto, con timore, con odio. Lì, in quell’ambiente, nella zona oscura della città, nessuno la chiama più con il suo nome. Per tutti è la Svedese.
Recensione
Quando pensiamo a Roma, siamo abituati a pensare alla sua storia, ai suoi monumenti, allo stupore che ci coglie ogni volta che gli occhi si posano sulle sue bellezze, ma la città eterna non è solo questo e De Cataldo ci racconta il suo lato più oscuro e lo fa attraverso la storia di una ragazza di vent’anni, Sharon, che sogna di evadere da un quartiere che non le garantisce nessun futuro.
Il quartiere però qualcosa da offrire lo ha e Sharon non riesce a resistere alla tentazione di fare soldi facili; soldi che poi tanto facili non sono, perché quando si entra nel mondo dello spaccio e della criminalità organizzata i rischi e i pericoli sono davvero tanti.
Sharon è una protagonista fuori dagli schemi: non è la principessa da salvare o la donna fatale che fa girare la testa al buono o al cattivo di turno, lei è il cattivo; grazie infatti alla sua intelligenza riesce a risalire le gerarchie della criminalità organizzata e a mettere in piedi un traffico di droga che le vale il rispetto e il sospetto delle alte sfere della malavita.
La Svedese, è questo il nome che le viene affibbiato, non cresce però solo nel campo della criminalità; durante la lettura infatti troviamo anche una sua evoluzione personale che va di pari passo con la crescita del suo rapporto con il Principe.
Il Principe è il personaggio che più mi ha incuriosito: è sfuggente, è enigmatico, non si capisce quale sia il suo ruolo nella storia e, fino alla fine, non si capisce cosa cerchi nel rapporto con Sharon, però è estremamente influente e carismatico e sarà proprio lui, con i suoi detti e non detti, a far crescere nella ragazza la voglia di migliorarsi.
Questo romanzo però non è solo la storia di Sharon, è lo specchio di una società che si divide fra coloro che faticano a sopravvivere e che trovano nell’illegalità l’unica strada possibile e coloro che hanno la possibilità di appagare qualsiasi vizi.
De Cataldo è bravissimo nel mettere su carta questo dualismo e lo fa mettendo in contrapposizione il centro della città con la provincia e dando ad ognuno personaggio un linguaggio e dei modi che lo contraddistinguono e lo inserisco nel proprio ambiente; passiamo così dal romanesco di Sharon e dei ragazzi di quartiere al linguaggio più forbito del Principe, da famiglie costrette ad entrare nel giro dello spaccio per arrivare a fine mese a individui che trovano in festini a base di droga, alcool e sesso il massimo del divertimento.
Fra queste pagine scopriamo una società degradata, nella quale ognuno è un po’ vittima e un po’ carnefice; una società che vorremmo tanto essere solo di finzione ma che invece è più reale di quanto si possa immaginare.
Editore: Einaudi
Pagine: 240
Anno pubblicazione: 2022
Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956), è magistrato, drammaturgo, sceneggiatore. Ha scritto molti romanzi (il più noto è di certo Romanzo criminale, edito nel 2002 per Einaudi e vincitore l’anno successivo del Premio Scerbanenco: da questo libro Michele Placido ha tratto un celebre film, seguito poi da una serie tv), sceneggiature per cinema e televisione e testi teatrali.
Collabora a quotidiani e a riviste come, tra le altre, «la Repubblica», «Il Messaggero», «L’Unità» e «Corriere della Sera Magazine». Nel giugno del 2007 esce nelle librerie Nelle mani giuste, ideale seguito di Romanzo criminale, ambientato negli anni ’90, dal periodo delle stragi del ’93, a Mani Pulite e alla fine della cosiddetta Prima Repubblica; i due libri hanno alcuni personaggi in comune. Nel 2009 esce per Einaudi La forma della paura, scritto a quattro mani con Rafele Mimmo. Dell’anno successivo è Il padre e lo straniero, sempre per Einaudi. Nel 2012 esce Io sono il Libanese, e nel 2013 De Cataldo firma con Gianrico Carofiglio e Massimo Carlotto un volume di racconti intitolato Cocaina, pubblicato da Einaudi Stile Libero. Sempre del 2013 è Suburra (Einaudi), di cui è autore insieme a Carlo Bonini. Tra gli altri suoi libri ricordiamo: I semi del male (Rizzoli 2014), Nell’ombra e nella luce (Einaudi 2014), Alba nera (Rizzoli 2019), Quasi per caso (Mondadori 2019), Un cuore sleale (Einaudi 2020) e Il suo freddo pianto (Einaudi 2021).