L’avvelenatore di Emanuele Altissimo

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L’avvelenatore

Nelle campagne astigiane, dove Arno Paternoster è cresciuto, contadini senza scrupoli spargono sul terreno cloruro di ammonio, concimi azotati e fosforo.

Quand’era bambino suo padre, il medico del paese stimato e benvoluto da tutti , gli mostrava gli effetti inquinanti nelle iridescenze delle pozzanghere per ricordargli che quelle sostanze finivano nell’acqua che bevevano, contaminandola.

Per tutta la vita suo padre non ha fatto altro che questo: contaminare i pensieri di suo figlio, come un veleno che si insinua sotto la pelle.

Adesso che Arno è un uomo, ha una moglie che ama che fa la poliziotta ed una bambina che adora, sente ancora la presenza ingombrante del padre, odiarlo non è servito ad allontanarlo.

Quando il dottor Paternostro viene ucciso, il figlio è il primo sospettato anche perché non ha un alibi e racconta un sacco di bugie, nonostante lui sia un avvocato e conosca i metodi della polizia. Chi poteva volerlo morto?

Riavvicinarsi a sua sorella, a sua madre ed ai vecchi amici d’infanzia potrebbe portargli un po’ di pace e provare a cercare le risposte che occorrono per trovare chi ha ucciso suo padre.

RECENSIONE

Quanto è difficile essere figli?

Si parla sempre di capacità genitoriale e mai della difficoltà nel sottostare a un legame tossico quando un padre soffoca le ambizioni, le speranze, i sogni di un bambino poi ragazzo infine uomo, che non sopporta nemmeno di avere lo stesso sangue nelle vene di quell’uomo che l’ha messo al mondo.

Arno Paternoster torna nella casa di famiglia dopo anni di distacco, torna perché vuole delle risposte ma soprattutto vuole capire quanto lui, ormai genitore, sia diverso da suo padre, che odia al punto di volerlo morto.

Per molti anni avevo vissuto con la paura di incontrare mio padre, di guardarlo negli occhi, di accorgermi che l’odio esisteva solo nella nostra distanza. Andavo avanti senza andare avanti. Avevo scelto di nascondermi.

E quando i carabinieri lo informano della morte di suo padre non riesce a provare emozioni.

Può solo chiudersi in sé stesso.

In seguito all’autopsia che rivela l’uomo sia stato prima colpito alla testa poi spinto dal balcone, Arno viene iscritto nel registro degli indagati, interrogato più volte come ultima persona ad averlo visto e accusato di omicidio.

Gli perquisiscono l’appartamento rivoltandolo come un calzino, gli fanno un sacco di domande e gli viene facile mentire perché l’ha sempre fatto.

Prima mentiva a suo padre per difendersi da lui, poi a sua madre per evitarne il giudizio, persino a sua moglie e a sua figlia perché è cresciuto con la consapevolezza di essere debole, schiacciato da quella figura opprimente, ferito nel suo essere, convinto di non meritare nulla dalla vita, costantemente in attesa di un giudizio e di un castigo.

Era riuscito ad allontanare anche la sorella perché lei aveva preso le parti del padre ma ora la morte potrebbe riavvicinarli.

Quel legame spezzato potrebbe ora essere ricucito

Spesso pensavo che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa e ci saremmo ritrovati. Quel qualcosa ci era successo, avevamo sepolto un genitore. Ma neanche davanti alla bara eravamo tornati ad essere fratello e sorella.

Quando viene invitato alla processione che i paesani hanno organizzato per ricordare suo padre, si rende conto di non averlo conosciuto affatto: era il medico del paese, la gente lo stimava e apprezzava e ora, quella gente, gli si stringe attorno, in quel luogo senza tempo, tra alberi e campi di girasole.

Quelli sono i luoghi della sua infanzia.

Così gli torna in mente che tutta la sua vita è stata una guerra contro suo padre: da bambino per sfuggirne i divieti, da ragazzo per liberarsi di lui e da adulto tramite gli avvocati contro le ritorsioni economiche del divorzio dei genitori.

Sperava arrivasse il giorno in cui liberarsi da quel dolore, ora che quel giorno è arrivato sente che non c’è nulla per cui ringraziare.

E nemmeno conosceva l’entità dei debiti che suo padre ha lasciato loro in eredità per quella sua mania di cercare i colpevoli dell’inquinamento delle loro falde acquifere che lo ha corroso, lo ha inimicato e reso schiavo di un ideale.

Ed è tra quelle persone che si deve cercare chi lo voleva morto.

E’ una storia intima, la si sente addosso, se ne percepisce il dolore che l’autore vuole trasmetterci, sembra quasi un’analisi personale da quanto è profondo il sentimento del protagonista.

Un rapporto padre – figlio malato, una lotta per la libertà da un sentimento velenifico che opprime.

Esiste il delitto ed esiste il castigo. Nessuno parla mai dell’altra, incalcolabile prigionia: quella di coloro che hanno amato i colpevoli e che scontano la pena più violenta, restare.

Questa forma di ossessione rende la lettura un po’ rallentata, ripetitiva.

L’inquietudine di Arno non ne favorisce l’empatia e nemmeno il suo volersi chiudere al mondo precludendosi l’affetto e l’amore di chi gli sta accanto ce lo rendono più vicino.

Ma è anche una storia attuale perché tratta il tema dell’avvelenamento del terreno da parte di contadini senza scrupoli che immettono sostanze tossiche come cloruro di ammonio e fosforo lasciando alle generazioni future un mondo invivibile.

Lo sfondo delle colline astigiane, con i dolci pendii, i colori brillanti e la presenza costante dell’acqua, rendono questo breve romanzo molto vero e reale.

La lettura scorre veloce anche per il numero di pagine ma soprattutto per la curiosità di conoscere se, finalmente, il protagonista riuscirà a trovare una sua pace interiore, la serenità dell’anima e la libertà da un sentimento che l’ha annichilito fino allo sfinimento.

Editore: Bompiani
Pagine: 288
Anno di pubblicazione: 2023

AUTORE

Emanuele Altissimo, nato nel 1987, vive a Torino dove si è laureato con una tesi su David Foster Wallace e ha frequentato il biennio di scrittura creativa alla scuola Holden.

Ha lavorato presso l’autorità nazionale di regolazione dei trasporti e oggi insegna in un liceo.

Il suo romanzo d’esordio Luce rubata al giorno edito Bompiani, che racconta la storia di due fratelli e dell’estate che segnò per sempre la loro esistenza, ha vinto il Premio Kihlgren 2019

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